Il prossimo 23 settembre festeggerà il compleanno. Saranno 82: alzi la mano chi lo direbbe, vedendolo sul palco.
Gino Paoli sciamano della canzone. Simbolo di una scuola che si è autogenerata e ha scritto pagine indelebili cambiando il modo di comporre, ed intendere, la musica leggera: definizione stretta, e ingannevole, per quelli come lui. Per i De André, i Tenco, gli Endrigo. Per i padri di un cantautorato che è (andrebbe sempre essere considerato) tra i fiori all’occhiello della cultura italiana. Cultura popolare, alta cultura: non c’è contraddizione, quando l’ispirazione è autentica.
«Io amo fare arte divertendomi», chiarisce Paoli. Che ha sempre avuto la mente aperta alle novità, alle sperimentazioni. Alle collaborazioni, come quella che lo porterà a proporre stasera a Brescia, per LeXGiornate, la rilettura in chiave jazz del suo repertorio. Insieme a lui, come ormai d’abitudine, Danilo Rea, pianista così versatile da aver spaziato nel corso della carriera dal linguaggio jazzistico alle architetture progressive: «Il mio rapporto con Danilo è qualcosa di magico... Un incontro di quelli che capitano una volta nella vita. Con lui mi posso permettere di sperimentare cambiando le regole. E lui fa lo stesso con me».
Felice di tornare a Brescia?
È un grande piacere poter rispondere all’invito di un Festival che si apre in questo modo alla creatività. Una gioia poter incontrare nuovamente il pubblico bresciano. Ritorno con la voglia di reinventarmi, ancora una volta. L’entusiasmo di una ricerca che non finisce mai.
«Il cielo in una stanza», «Senza fine», «Sapore di sale» e l’elenco sarebbe lungo: le sue canzoni sono ormai storia. Come le vive e le interpreta, con la sensibilità di oggi?
Fin da quando ho cominciato, le mie canzoni nascono tutte dall’esigenza di esprime qualcosa. Ovviamente la personalità a 28 anni non può essere quella di un ottantenne. Si può scrivere una cosa altrettanto emozionante, ma sarà sicuramente diversa. Se un artista è onesto fino in fondo, esprimerà per forza altre emozioni, legate a una fase della vita diversa. Quello che conta, quando si scrive, è non pensare al successo. Non avere come obiettivo l’esigenza di assecondare il gusto del pubblico. Vale per la musica, vale per la vita. Io cerco di fare quello che sento. Sempre. A maggior ragione quando si tratta di comporre.
Perché da qualche anno ha deciso di rileggere in chiave jazz il suo repertorio?
È andata... Come quasi ogni cosa nella mia vita non l’ho cercata: è capitata. Ho cominciato per caso. Quando mi hanno chiesto di suonare il jazz, ho accettato subito. Non ci ho pensato nemmeno un minuto. Fu Enrico Rava a telefonarmi: voleva fare un concerto con un cantante. «Per me quel cantante sei tu», mi disse. Da lì è partito tutto.
Cosa le ha dato il jazz?
Ho scoperto una grande libertà. Una fantastica sintonia con artisti geniali.
Dieci anni di collaborazione ufficiale con Danilo Rea. Come è nato e si è sviluppato questo feeling?
Io credo di non aver mai avuto una simile libertà esprimendomi con un altro artista. Una libertà assoluta per entrambi. Quando suoniamo insieme non c’è mai un concerto uguale all’altro. Ci inventiamo tutto nel momento stesso in cui lo facciamo, come se fossimo una persona sola. Questo ci permette, oltre che di essere liberi, di trovare l’emozione che arriva fino al pubblico. Anche stavolta sarà un concerto differente, dunque. Nella mia vita ho fatto musica con gruppi diversi, con pianisti e chitarristi di vario genere, e ogni volta è un’esperienza diversa. Così si rinnova costantemente anche il mio modo di cantare.
Cosa ascolta Gino Paoli nel tempo libero?
Non ho preclusioni di sorta. Un po’ di tutto: dalla sinfonica alla classica, dall’operistica all’argentina, alla messicana. Senza dimenticare il jazz, ovviamente. Per me non conta tanto il genere. Conta il valore della proposta. Esistono la buona e la cattiva musica. Mi piace ascoltare Armando Manzanero, il re del bolero messicano. Così come amo i francesi: Brassens, Brel, Moustaki. Ma anche Puccini e Rachmaninov. La contemporanea come la classica. Le cose belle, del resto, puoi ascoltarle anche venti volte e cambia niente, ti piacciono tanto e ti piacciono sempre. Per me, ad esempio, ogni volta che sento l'addio di Mimì della «Bohème»... È come mi dessero un pugno nel cuore. Ogni volta, davvero. Ci sono cose che risvegliano l’emozione. Io credo che siano quelle, le cose più importanti. Semplicemente, sono arte.