Il racconto delle
streghe del Tonale
Valle Camonica

Fotografia di www.ilariapoli.com
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«Et pare che da quel tempo in qua siano trasferite le strigaria de albania in questa valle camonica; tanto che li è moltiplicata de tempo in tempo la maledizione, che se ora non se li feva condigna provisione, el morbo de tale peste andava tanto avanti che tutta quella valle, monte e piano, quei poveri sacerdoti et secolai, fati i fedeli parte di le Maestà divina et de loro senza più baptesimo che baptizzati et consequenter dediti ad opere diaboliche, dotti da fascinar li omini, strigar fantolini.» ( 1 agosto 1518, Giuseppe da Orzinuovi, Lettera)

 

Certo non fu la stessa cosa che in altre zone d’Europa, per esempio in Germania, dove il numero di roghi accesi per estirpare la stregoneria raggiunse dimensioni da fare spavento. Intorno al 1590, per fare un solo esempio, alla periferia di Treviri vennero bruciate tutte le donne in quanto ritenute schiave del Demonio, anche se, a voler essere ironici, rileviamo che almeno una deve essergli sfuggita agli inquisitori se, esattamente duecentoventotto anni dopo, proprio in quel villaggio sarebbe venuto alla luce il satanasso per eccellenza, capace di compromettere a tutt’oggi il sonno di qualche benpensante, Karl Marx. Ma, sia pure senza eguagliare la Germania (e la Francia), anche in Italia la caccia alle streghe venne svolta con rigoroso zelo e feroce puntualità. Sembra che nella bella Italia il più alto numero di roghi abbia avuto luogo proprio nella nostra Valle Camonica dove, fra il 1518 e il 1521, ve ne furono più di 80. Anche se geografi camente non appartiene alla Valle Camonica va ricordato, inoltre, che anche nella non distante Bormio, ci furono ben 34 roghi solo nel 1632. Delle streghe che si ritrovavano al Tonale è rimasta nei secoli la memoria se la prima volta che ne sentii parlare fu nei racconti, senza che però sia mai entrata nel dettaglio di cosa si verifi - casse eff ettivamente durante lo svolgimento dei loro Sabba, della mia vecchia ed edolese nonna Elvira, sul fi nire degli anni Sessanta. In quegli anni, a bambini e anziani faceva ancora paura la “certezza” che, in mezzo alla gente comune che abitava quei paesi, con le stesse fattezze, le stesse abitudini, magari nascoste dietro un velo di gentilezza - spesso,ad un primo sguardo, persone spesso amichevoli - potessero annidarsi donne malvagie e uomini perversi che avevano il potere di fare traffi ci con il Demonio. Devo dire che nei miei ricordi d’infanzia, talvolta è capitato pure a me di avere il sospetto che qualcuno, all’apparenza del tutto normale, fosse in realtà una “strega”. Ovviamente questo “qualcuno” era proprio mia nonna medesima, soprattutto quando s’incazzava ferocemente per qualche mia mancanza. Una galoppante artrite deformante, poi, le aveva compromesso le mani che così apparivano adunche e rapaci, mentre la “cipolla” che si portava sulla nuca, lo chignon così diff uso fra le vecchie dell’epoca, a sera prima di coricarsi veniva “smontato” ed era costituito da una serie di treccine tenute insieme fra loro con forcine. Una volta che tutti quei capelli (una massa di consistenza insospettabile) venivano sciolti e spazzolati ripetutamente, conferivano a mia nonna in camicia da notte l’aspetto di una strega davvero inquietante amplifi cato dalla ruvidezza del suo carattere e dalla totale assenza di una propensione al dialogo e all’empatia che ne facevano una donna autoritaria dalla forte personalità. D’altro canto non si poteva pretendere né dolcezza,né indulgenza da una donna classe 1894 cresciuta nel chiuso dell’Alta Valle e che aveva cominciato a soli dieci anni a portare al pascolo, in quel di Poia, frazione non ancora inglobata in Ponte di Legno,le tre o quattro mucche della famiglia. Tuttavia quando la nonna cominciava a recitare le preghiere serali, mi acquietavo, apparendomi impossibile che una donna così osservante potesse essere anche una strega: questo non mi ha impedito, a volte, di svegliarmi nel cuor della notte per accertarmi che lei ci fosse davvero nel suo imponente letto matrimoniale e non fosse sgusciata fuori dal camino su un manico di scopa per viaggiare verso mete oscure. Per allietarmi le serate -lei la televisione mica ce l’aveva - prima di andare a dormire spesso amava raccontarmi anche la storia della strega del Sock, una storia che da chissà dove proveniva ed era suggestiva e maggiormente inquietante proprio per la sua indefi nitezza. Non si trattava esattamente di una creatura, infatti, perché la donna detta del Sock, era più propriamente un’”entità” malvagia, un qualcosa di indefi nibile, perciò mai vista da nessuno, che portava paura e danni alle persone e alle cose. Quando arrivava in prossimità di baite solitarie o malghe isolate cominciava a urlare facendo “impazzire” sia le bestie che i pastori. La potenza delle sue urla era tale da lasciare segni persino sulle porte e sulle fi nestre delle case dove, in attesa che tutto fi nisse e lei se ne andasse, uomini e donne si rinchiudevano impauriti. Quando cessava tutto e quindi lei si allontanava, prati e terreni erano feriti da escrementi e sporcizia di varia natura. Lungo la Valle, però, e ce lo confermano anche documenti storici e memorie legate ai processi per stregoneria, esisteva un notevole numero di persone compromesso nei traffi ci con il Maligno: per esempio a Cevo, nella zona della cappella Androla, dove nelle miniere, sotto la vigile custodia di un serpente che portava sulla coda un anello d’oro,si credeva risiedessero stabilmente maghi e streghe che uscivano dal loro rifugio solo quando scoppiavano i temporali per darsi poi a sfrenate orge alle quali partecipava il Diavolo stesso. Sulle montagne di Angolo viveva la strega Mandola attorniata dai suoi folletti che, dopo il suo comando, spargevano per i boschi una polvere magica che aveva il potere di far crescere istantaneamente enormi porcini: una strega apprezzabile, si potrebbe dire in questo caso. Da Pisogne a Pezzo, da Lozio a Corteno, da Niardo a Saviore, a Sonico, Edolo e Temù, in ogni paese si poteva trovare un rappresentante di questa variegata popolazione di streghe e stregoni che ogni notte si dava appuntamento al passo del Tonale ed in eff etti, per i prati di quella zona,nessuno sarebbe mai passato di notte o già nel pomeriggio avanzato. Questo insieme di credenze, costato anche la morte eff ettiva di sventurati che spesso avevano confessato sotto tortura le orribili ed incredibili nefandezze di cui si erano macchiati ritenendo, in ciò imbrogliati dagli inquisitori, di salvare la pelle, ha costituito nel tempo, a livello locale un formidabile quanto condiviso bagaglio culturale che si è tramandato fra le generazioni e che solo da qualche tempo ha cominciato ad estinguersi per diventare materiale d’interesse soltanto per storici e antropologi. Anche questo elemento, la dissoluzione di una “cultura” locale è signifi cativo per dire di tempi che sono irrimediabilmente cambiati e non lasciano più spazio all’ingenuità popolana, al mistero inspiegabile, all’insondabile. Non è più tempo di fi gure mitiche che, probabilmente proprio per esorcizzarlo, impersonino il Male assoluto: ora, infatti, è diff uso e si è fatto “liquido”, quel Male, e ci avvolge e ne siamo imbevuti e lo possiamo vedere all’opera ogni giorno, talvolta in diretta, su un qualsiasi canale tv. 

 

di Roberto Bianchi

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