Il racconto dei
pittori di montagna
Valle Sabbia

Il racconto dei pittori di montagna, Valle Sabbia
Il racconto dei pittori di montagna, Valle Sabbia
Il racconto dei pittori di montagna, Valle Sabbia
Il racconto dei pittori di montagna, Valle Sabbia

Non credo ci sia un bresciano che sia uno che non abbia mai sentito nominare almeno il più “popolare” dei tre, Ottorino Garosio: c’è stato un periodo negli anni Settanta in cui a Brescia molti benestanti, per dare un tono più raffi nato al proprio salotto, rincorsero e ne acquistarono, pagandoli un gran bene, i contadini intabarrati. A riprova del signifi cativo successo anche commerciale di quei tre artisti valsabbini che si fecero conoscere in un ambito ben più esteso degli stretti confi ni della valle basti considerare che nel tempo sono comparse anche copie, più o meno felici, eseguite da falsari si presume bresciani.; anch’esse, ahimè, ebbero il loro mercato. Del primo, Togni, e del suo rapporto con la Valle, si può ricordare che a proprio modo abbia compiuto un viaggio senza ritorno, come Gauguin che, in età matura, scelse di andarsene in un altrove lontano non senza prima aver scritto al collega simbolista Odilon Redon di aver «deciso di andare a Tahiti per fi nire là la mia esistenza. Credo che la mia arte, che voi ammirate tanto, non sia che un germoglio, e spero di poterla coltivare laggiù per me stesso allo stato primitivo e selvaggio. Per far questo mi occorre la calma: che me ne importa della gloria di fronte agli altri! Per questo mondo Gauguin sarà fi nito, non si vedrà più niente di lui», un testo, quello, che mi sembra possa essere l’ideale premessa necessaria di ciò che Togni stesso avrebbe scritto di sé: “Cammino e mi giunge il rimpianto per la brevità della vita e questo mi induce ad operare alacremente cose buone che lascino il segno onorato del mio passaggio in essa.” Del secondo, Garosio, sappiamo che invece dalla sua terra non s’è mai mosso (se non per il periodo degli studi presso Antonio Simeoni a Riva del Garda) e, anzi, vi si è sempre di più radicato fi no a diventarne il cantore e l’esegeta delle sue genti più umili che ha rappresentato con il suo tratto inconfondibile e singolare. Il terzo, Stagnoli, ha saputo esprimere il paesaggio umano originato dalla sua Valsabbia con tratti forti e audaci , popolato dalle maschere bagosse, dai contadini talvolta de-umanizzati nel tratto e dagli animali, invece spesso resi quasi “umani”, il tutto metabolizzato attraverso la mediazione della sua intima e poderosa fatica di vivere, quella, fra l’altro, di un uomo orfano e sordomuto fi n dalla più tenera età, che nel mentre tentava di riacquistare almeno parzialmente l’uso della parola si affi dò ad un potente linguaggio visivo per comunicare ed esprimersi. Edoardo Togni (Brescia, 1884 - Vestone, 1962), Ottorino Garosio (Vestone, 1904 – Vestone, 1980). Antonio Stagnoli (Bagolino, 1922 – Bagolino, 2015) sono i tre più famosi artisti delle terre valsabbine. Sono stati amati dal grande pubblico, studiati dalla critica e loro opere si trovano anche in importanti collezioni, non solo bresciane. Togni era nato a Brescia, nella più popolana delle contrade, in quella Via San Faustino che però dovette abbandonare fi n da bambino al seguito della madre quando la donna trovò un impiego come cameriera presso i nobili Dalla Porta. A Milano il giovane frequenta prima come garzone e poi come allievo lo studio di Gaetano Previati, uno dei più rappresentativi esponenti, dopo una breve esperienza negli ambienti della Scapigliatura, del divisionismo italiano di cui sarà anche teorico. Frequenta poi l’Accademia Carrara di Bergamo, La sua vita è stata particolarmente tribolata anche se riuscì a vendere i suoi quadri e a camparci. Viene ferito piuttosto gravemente nel corso della Prima Guerra Mondiale. E perderà l’amatissimo fi glio Bruno nel corso della Seconda, sulla costa francese della Manica. Potrebbe non riprendersi più da questo gravissimo lutto e invece con l’aiuto di amici e soprattutto della moglie ce la farà. Non credo sia casuale, tuttavia, il fatto che la sua rinascita inizi con il ritorno defi nitivo in quel di Vestone, dalle parti di quelle terre, Belprato e Pertica, nelle quali si immergeva per dipingerne i silenzi e i paesaggi fi n dalla giovane età. Che dire di Garosio se non che fu uno straordinario vagabondo della propria terra; gli riuscì di guardarla con gli occhi vergini di uno straniero sorpreso e incuriosito da quei ruvidi contadini intabarrati, dalle prime corriere che essi stessi guardavano incuriositi, dai mercati, dalle osterie puzzolenti e fumose e, al contempo, di fi ssarla per sempre nelle proprie opere con la consapevolezza che solo uno di quei contadini poteva avere, che solo chi aveva visto quelle corriere con la stessa loro curiosità poteva capire, che solo chi in quelle osterie aveva condiviso calici e mezzi toscani poteva maneggiare, che solo chi gironzolava per sentieri e i viottoli come un michelass, intabarrato e con la fedele chitarra a tracolla per fare, se del caso, un po’ di allegria, aveva saputo percepire. Le relazioni fra la gente umile, fatta di terra e fatica, vengono raffi gurate con sapienza, con colori terrosi, così come le malinconiche sembianze che il panorama può assumere verso sera, quella sera che assomiglia assai, all’altra “sera”, quella non transitoria e che cala addosso agli uomini alla fi ne del loro percorso, e insieme a loro travolge, e Garosio lo dipinge malinconicamente, anche l’ultima generazione di gente fatta così, ruvida e sincera. E lui, bevitore,fi gaiolo e festaiolo bene lo sa, e gli prende la nostalgia. Ed è solo perché è l’ ultimo venuto al mondo che Stagnoli chiude questa breve rifl essione sui pittori di montagna . E stato un gigante nel rappresentare la sua terra, i silenzi della valle, nel tradurne le atmosfere e nel rimarcare il carattere degli uomini e delle donne che le abitano. In altre parole le sue opere costruiscono un’alchimia identitaria : forniscono cioè tutti gli elementi necessari per sapere di un mondo appartato ed unico e forse ne suscitano nostalgia, o quantomeno ci regalano memoria, in noi abitanti di un Mondo che ci vuole globalizzati e senza più alcuna identità. Fu invitato da Vittorio Sgarbi alla Biennale di Venezia del 2011 quest’uomo schivo e così ancorato alla terra bagossa. Ha suscitato l’interesse del famoso fotografo Gianna Berengo Gardin, quest’uomo che era la versione umana della terra che l’ha generato. Ed è un fi lm – documentario “ Fantasmi di voce” che ci restituisce la vita di un uomo silente che divenne un artista frastornante. Guardando i loro quadri lo si vede tutto il mondo, ormai scomparso, delle nostre valli e della Valle Sabbia in particolare, un mondo abitato da persone che per sempre furono comunità di vite aff aticate e serene, umili e abbondanti, silenziose e generose. E questa è la straordinaria ricchezza che abbiamo ereditato e che nessun Mercato potrà mai svalutare.

Suggerimenti