«Porto musica e poesia
perché recitare è giocare
Il segreto? Mi diverto»

Giancarlo Giannini: al festival di Jazzontheroad col quartetto di Marco Zurzolo (Cabiria Production)
Giancarlo Giannini: al festival di Jazzontheroad col quartetto di Marco Zurzolo (Cabiria Production)
Giancarlo Giannini: al festival di Jazzontheroad col quartetto di Marco Zurzolo (Cabiria Production)
Giancarlo Giannini: al festival di Jazzontheroad col quartetto di Marco Zurzolo (Cabiria Production)

Il trucco è uno, uno soltanto. E nessuno lo conosce meglio dell’inventore. Il trucco è l’invenzione stessa, che è sempre una scoperta. Lo è all’inizio, «lo è anche nella ripetizione e così dev’essere: bisogna divertirsi, non a caso inglesi tedeschi e francesi usano lo stesso verbo per giocare e per recitare». Parola, anzi verbo, di Giancarlo Giannini. Che certo se ne intende di invenzioni (ne ha fatte anche per Robin Williams), ma anche e soprattutto di parole (ne ha recitate per un bel pezzo di storia del cinema, e del teatro, in Italia e non solo). «Parole Note» porterà in scena, reinventandole, venerdì 13 luglio in piazza Tebaldo Brusato per il festival di Jazzontheroad (ingresso 20 euro, 15 ridotto). Sua la voce recitante, accompagnata da Marco Zurzolo (sax alto), Carlo Fimiani (chitarra), Aldo Perris (contrabbasso) e Agostino Mennella (batteria) nella produzione targata Cabiria di Susy Mennella: un dream team partenopeo per un recital «che vuole essere un racconto, ma anche un dialogo con gli spettatori». Un viaggio tra letteratura e musica, spaziando da Neruda ad Angiolieri, da Shakespeare a Garcia Lorca, per parlare di ciò che conta davvero: «L’amore, la donna, la passione… la vita».

Le «Parole Note» suonano mai uguali?

No, mai. Soprattutto quando si tratta di poesia e musica insieme: ciò che voglio portare a Brescia.

Che spettacolo ha in mente?

Un gioco leggero. Un’ora e mezza di piacevolezza. Liriche sulle donne dal ’200 ad oggi, di autori italiani e non. Musiche di bravi artisti, jazzisti, napoletani. Il divertimento di far conoscere la poesia.

I reading si moltiplicano. È un momento di rivincita per la poesia?

Non so. Noi non lo facciamo sempre, questo spettacolo. Ogni tanto. Serve il contesto giusto. È una forma di interazione, di improvvisazione. Il racconto di grandi poeti fluisce attraverso di me. Lo restituisco dal vivo, sul palco. Dimensione che non mi pesa. Ho recitato per tanti anni a teatro, una volta le tournée duravano 8 mesi.

«Sogno i film che non ci sono più», ha dichiarato su queste colonne Pupi Avati. A lui il nuovo cinema italiano «non piace per niente. La differenza culturale, rispetto alle opere del passato, si avverte tutta». È d’accordo?

Sì. Ma prima ancora, sono d’accordo con Federico Fellini, che 35 anni fa sentenziava Giancarlino, vedi... Il cinema è morto. Ma io lo sto facendo, replicavo. E lui scuoteva la testa: Vedrai, andremo al cinema come al museo. Oggi impera la tecnologia digitale: non è vero che così il cinema costa meno, lavorare con le immagini comporta più o meno lo stesso impegno. Lo dico io che ho studiato elettronica. Ma io credo nel divenire dell’uomo, e della scienza.

«Il tempo dell’uomo è fatto di lunghi periodi bui e brevi periodi illuminati», ha detto un autore di grandi colonne sonore come Mauro Pagani.

Qualcosa di simile diceva già Giambattista Vico. Corsi e ricorsi storici. Ma il cinema si fa sempre. La gente ci va o non ci va.

Lei va al cinema, da spettatore?

Non spesso, sinceramente. Non è snobismo: non mi diverte più. È il tempo di altri mezzi: il telefono, il comnputer rendono tutto più comodo, rapido. Non bisogna più perdere 3 ore per un film, fra una cosa e l’altra, si può guardarlo dove si è e intanto fare altro. Dopodiché un film visto in sala, su grande schermo, è un’esperienza più forte.

Dal premio a Cannes alla nomination all’Oscar, nella sua carriera ha collezionato riconoscimenti svariati: ce n’è uno di cui va particolarmente fiero?

Ma direi più o meno tutti. Fanno piacere, significano che qualcosa hai fatto: hai un pubblico e da attore riesci a comunicare, quei premi nascono da lì. Ma mentre si lavora a quello bisogna pensare: alla platea, non ai premi. E concentrarsi sempre sul prossimo copione.

C’è un personaggio, fra i tanti che ha interpretato, che le è rimasto più addosso?

No. Ogni volta si ricomincia da zero. Orazio Costa, all’Accademia di arte drammatica, mi diede un consiglio: Sei bravo, non dormire mai sugli allori. Gli ho dato retta. Anche il mestiere dell’attore, se diventa convenzionale, può venire a noia. A quel punto meglio non farlo, trovare altre vie per esprimersi. Io ci provo sempre, amo rischiare a costo di sbagliare. Giusto così: se non si prova, se non si osa e non si sbaglia qualcosa, non si crea mai nulla. Ma i personaggi sono virtuali e io cerco di reinventarli a modo mio.

Come?

Non mi vincolo alla riproduzione della realtà. E non ho la presunzione di pensare che quel personaggio sia pensato apposta per me. Non è così, se non lo interpreti tu lo farà qualcun altro! Bisogna giocare: to play, jouer... Non serve che gli attori soffrano. Il pubblico ama soffrire. Io no! Mi devo divertire.

Ha vinto il Premio Pavese raccontandosi in «Sono ancora un bambino», poi ha doppiato la paura nei «Racconti neri» di Poe.

Ma non li ho fatti io quei racconti. Li ha scritti uno bravino... Io faccio l’attore e ho cominciato per caso, ma mi è venuto bene. È così facile recitare male! Ci riescono tutti. A chi sceglie questa strada allora dico di farlo bene: di studiare tanto, di approfondire la conoscenza del proprio corpo.

Se avesse vent’anni e cominciasse oggi, sarebbe più facile o più difficile?

Probabilmente non farei l’attore. Non inizierei nemmeno.

Suo figlio Adriano ha seguito le sue orme e ha fatto successo. «L’ombra paterna non mi spaventa», ha sempre detto. Merito suo, ma anche di l’ha educato così.

Mio figlio ha lavorato a lungo dietro la macchina da presa, copme assistente operatore. Quando gli offrirono il primo ruolo, gli consigliai di rifiutare. Poi, quando venne da me perché gli avevano proposto il remake di «Travolti da un insolito destino...» con Madonna, gli dissi Se vuoi fallo: andrai in tutto il mondo e avrai la soddisfazione di schiaffeggiare Madonna. Io in tanti anni di carriera non l’ho avuta.

Cosa farà dopo il recital bresciano?

Passerò 15 giorni sul set in compagnia di George Clooney per girare «Catch 22». Sta per uscire nelle sale il film di Virzì al quale ho preso parte, «Notti magiche». Non mi annoio, mi diverto.

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