PONTEVICO. La giustizia del suo Paese lo aveva condannato a 40 anni

«È morto Manolo»
la belva serba
dagli occhi gialli

Ljubisa Vrbanovic durante il processo celebrato  in Serbia: condannato a morte, la pena fu poi commutata in 40 anni di reclusione
Ljubisa Vrbanovic durante il processo celebrato in Serbia: condannato a morte, la pena fu poi commutata in 40 anni di reclusione
Ljubisa Vrbanovic durante il processo celebrato  in Serbia: condannato a morte, la pena fu poi commutata in 40 anni di reclusione
Ljubisa Vrbanovic durante il processo celebrato in Serbia: condannato a morte, la pena fu poi commutata in 40 anni di reclusione

Dopo l’incertezza su tutto ciò che riguardava «Manolo», dalla Serbia è arrivata una risposta: un certificato di morte. Ljubisa Vrbanovic, che nell’agosto del 1990, con un nipote prese parte allo sterminio della famiglia Viscardi a Torchiera di Pontevico «è morto». Questo, in sintesi, il contenuto del certificato di morte che è stato trasmesso dalla Serbia al tribunale di Brescia. IL 14 DICEMBRE scorso si era insediata, in tribunale a Brescia, la Corte d’assise presiedutada Vittorio Masia, a latere il giudice Roberto Spanò: avrebbe dovuto processare «Manolo». La prima udienza era stata «esplorativa» dal momento che non si aveva prova che l’imputato fosse effettivamente detenuto in Serbia. Tutto comunque fuorchè un’udienza dai contenuti solo formali: il presidente Masia aveva spiegato che nei mesi precedenti era stata avviata una rogatoria e che il Ministero della Giustizia aveva inviato ben due solleciti senza ottenere risposte. E anche l’avvocato Francesco Chiodi,  legale d’ufficio di «Manolo», aveva spiegato di aver inviato una raccomandata internazionale a Pozaverac e di aver ricevuto come risposta l’annuncio che il serbo risultava «sconosciuto».  Ciò nonostante, da parte del pm Mauro Tenaglia nel corso dell’udienza erano state  prospettate importanti e interessanti soluzioni per far sì che il processo potesse decollare. Tra queste, una videoconferenza. Ma la prima udienza era stata importante anche per la presenza in aula di GuidoViscardi, l’unico sopravvissuto della famiglia, che in Italianon si è mai costituito parte civile. Ora tutto prende un’altra piega e viene scaraventato in un’altra dimensione. Quella della morte dell’imputato - annunciata dal certificato pervenuto in tribunale – è una notizia che costringe a prendere in considerazione scenari inediti. Il processo nella scorsa udienza era stato aggiornato al 6 aprile prossimo. Un lasso di tempo che era stato individuato per poter svolgere gli accertamenti necessari a comprendere dove si trovasse «Manolo».  Altro aspetto da chiarire era quanti anni di carcere avesse scontato.  Al termine dell’ultimo processo in Serbia «Manolo» era stato condannato a 40 anni di carcere, fine pena 2039. Il nipote coinvolto nella strage di Torchiera morì invece in un conflitto a fuoco con la polizia nella ex Jugoslavia. Ora la notizia di questa seconda morte che non rende più punibile dalla giustizia italiana Ljubisa Vrbanovic,  soprannonimato «la belva dagli occhi gialli» per la sua ferocia. Il serbo il 16 agosto del 1990 fece irruzione nell'abitazione della famiglia Viscardi a Torchiera di Pontevico. Il tentativo di rapina si trasformò in una strage. Vennero trucidati Giuliano Viscardi, di 57 anni, la moglie Agnese Maringoni, di 53, i figli Luciano, 29, e Maria Francesca, 24. L'unico a salvarsi fu il primogenito Guido Viscardi che dopo il matrimonio non abitava più con i genitori e i fratelli, ma in una villetta a un centinaio di metri da loro. Proprio Guido Viscardi andò negli anni successivi in Serbia per il processo a «Manolo ». Un’esperienza che  il sopravvissuto non dimenticherà mai,  in merito alla quale raccontò: «Ricordo ancora i sorrisi dei serbi quando dissi “adesso datelo a me“». Tutto ciò appartiene ora a un passato che la notizia del certificato di morte di «Manolo » pervenuto in tribunale contribuisce a cristallizzare, senza che si possano fare passi avanti o indietro per arrivare anche a una verità stabilita dalla giustizia italiana. Quanto si è appreso dal certificato arrivato dalla Serbia va evidentemente approfondito, circostanziato. Ma si tratta di una comunicazione ufficiale che non lascerebbe dubbi sulla morte. «Manolo» in uno dei processi in Serbia era stato condannato a morte, ma la pena, successivamente era stata definitivamente fissata in 40 anni di carcere. Altri dettagli potrebbero emergere sin dalle prossime ore in una vicenda di sangue e d’orrore in cui la sete di giustizia rimane comunque tanta.

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