«Giudici, non
portateci via la
nostra nipotina»

di Milena Moneta
Samantha Scrof aveva 39 anniIl luogo dell’incidente in cui quasi due anni fa, il 7 dicembre, perse la vita Samantha ScrofLa giovane donna stava attraversando quel tratto di strada avvolto dalla nebbia
Samantha Scrof aveva 39 anniIl luogo dell’incidente in cui quasi due anni fa, il 7 dicembre, perse la vita Samantha ScrofLa giovane donna stava attraversando quel tratto di strada avvolto dalla nebbia
Samantha Scrof aveva 39 anniIl luogo dell’incidente in cui quasi due anni fa, il 7 dicembre, perse la vita Samantha ScrofLa giovane donna stava attraversando quel tratto di strada avvolto dalla nebbia
Samantha Scrof aveva 39 anniIl luogo dell’incidente in cui quasi due anni fa, il 7 dicembre, perse la vita Samantha ScrofLa giovane donna stava attraversando quel tratto di strada avvolto dalla nebbia

Può una nonna, vedova, che non ha ancora prosciugato il dolore di aver perso una figlia un paio di anni fa, non poter vedere più la piccola nipotina, rimasta orfana? Può una sorella non poter allevare quella stessa bimba nella propria famiglia, risultata idonea alla sua crescita, insieme ai cuginetti che tanto amava?

SE LO CHIEDE la sorella Barbara Scrof ricordando la doppia tragedia che ha investito la sua famiglia sul finire del 2015 e appellandosi alle autorità, ai politici che in qualche modo possano aiutarli, persino al presidente Sergio Mattarella. Lunedì racconterà la sua storia anche su Rai3 nella trasmissione «Chi l’ha visto?» e insieme al marito, Serafino Molino, sta organizzando pure una fiaccolata per smuovere la sensibilità collettiva.

Ecco la vicenda. Il 7 dicembre del 2015, Samantha Scrof, conosciuta come Samy, madre di 39 anni, originaria di Ghedi, veniva travolta e uccisa da due automobili che la urtavano in successione, poco lontano da casa, a Leno. Nel tardo pomeriggio era andata a camminare, come ormai fanno in molti, lungo la cosiddetta tangenzialina, il tratto di via Umbria che diventa Provinciale VII.

Proprio lì a pochi passi dalla cascina Pero, dove abitava con la mamma e uno dei quattro fratelli, forse tentando un attraversamento reso ancora più pericoloso dalla nebbia, è stata investita prima da una Fiat Punto che non vedendola l’ha sbalzata sulla carreggiata opposta e, subito dopo, da una Mercedes che viaggiava nella direzione contraria. Uno shock per la famiglia al punto che la mamma Angiolina, rimasta vedova 11 anni prima del marito Fiorenzo anche lui morto per incidente stradale, era stata ricoverata in ospedale per un malore. Ma anche un altro dolore assediava la famiglia, come racconta ora la sorella Barbara: quattro settimane prima la figlia di Samantha di 3 anni (ne avrebbe compiuti 4 a marzo), era stata collocata in un istituto non ritenendo la mamma, che aveva avuto problemi di droga e che stava risalendo la china, idonea ad allevarla «ma come ci hanno detto in comunità - spiega Barbara - non le hanno dato il tempo di concludere la sua rinascita».

UNICA E PENOSA consolazione, la possibilità di poter vedere la figlia una volta ogni 15 giorni. Beneficio di cui ha fatto in tempo a fruire una sola volta, perché il destino aveva deciso di prendersi la sua giovane vita. Il mese successivo era scattato l’affidamento ad una coppia senza figli del Mantovano «con cui la bambina già era stata messa in contatto a dicembre - ricorda Barbara - ma a rischio giuridico», cioè con la possibilità che la piccola tornasse in famiglia. Nel frattempo, anche a seguito di una istanza, il Tribunale dei minori, prima di dichiarare l’adottabilità della bambina, ha sottoposto la famiglia degli zii, i coniugi Molino, che avrebbe voluto prendersene cura, ad un Ctu (consulenza tecnica d’ufficio). Lo psicologo che l’ha analizzata nel 2016, l’ha ritenuta equilibrata ed idonea a crescere in modo sano la piccola. La coppia affidataria ha allora chiesto, tramite il Tribunale, un Ctu sulla bambina e lo stesso psicologo, rilevato che la ragazzina si è affezionata ai nuovi familiari, ha giudicato il nuovo nucleo familiare più adatto a crescerla di quello di origine. Ma Barbara non si dà pace: «È una crudeltà verso di noi e verso la bambina spezzare per sempre i legami con la sua vera famiglia, dato che non possiamo nemmeno vederla - denuncia -. Potremmo fare ricorso in Tribunale, almeno per le visite, ma i tempi burocratici che si prospettano, potrebbero far slittare la decisione per anni e anni. Inoltre in barba alle regole dell’affidamento, chi si occupa di mia nipote si fa chiamare «mamma e papà - si sfoga ancora la zia - ma solo dopo un anno le è stato detto che la mamma era morta, facendole vivere per mesi il senso di abbandono».

Prosegue Barbara Scrof: «Se ci hanno ritenuti idonei ad occuparci della nostra nipotina, perché allora non possiamo farlo? La famiglia di origine non vien prima di tutto e l’affidamento non è una soluzione temporanea in attesa che il minore possa tornare in famiglia? Mi appello anche alla coppia cui è stata affidata la bambina: sapevano che poteva rientrare a casa e stare con noi, perché ostacolano un ricongiungimento sacrosanto?».

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