Il destino dimenticato degli internati

di Riccardo Caffi
Soldati italiani fatti prigionieri dai tedeschi dopo l’8 settembre 1943
Soldati italiani fatti prigionieri dai tedeschi dopo l’8 settembre 1943
Soldati italiani fatti prigionieri dai tedeschi dopo l’8 settembre 1943
Soldati italiani fatti prigionieri dai tedeschi dopo l’8 settembre 1943

Andrea Andrico, ricercatore Anpi, ha perso ormai il conto delle ore trascorse negli ultimi due anni a rovistare tra gli scaffali degli archivi del distretto militare di Treviglio. Da quando ha deciso di dedicare il suo tempo agli internati militari italiani (Imi) di Borgo San Giacomo, ha consultato con infinita pazienza tutti i registri dei ruoli matricolari dall’anno di leva 1903 fino al 1926, per non correre il rischio di tralasciare qualche nome. Ha sfogliato le pagine di 180 registri, che contengono oltre 300 nomi ciascuno, passando al setaccio circa 55 mila soldati partiti per i diversi fronti tra il 1940 il 1945. Andrico ha per ora limitato la sua impresa alla trascrizione dei nomi dei militari di Borgo San Giacomo finiti in mano ai tedeschi, tralasciando quelli catturati dagli alleati. «Andrà condotta una ricerca completa su tutti i nostri concittadini, prigionieri durante il secondo conflitto mondiale - commenta Andrico - Secondo molti storici, gli italiani prigionieri degli alleati furono più fortunati. Catturati in grandi quantità, circa 400mila, sui fronti africani tra il 1941 e il 1943 e internati in Galles o negli Usa, godettero dei diritti sanciti dalla Convenzione di Ginevra». LA STORIA degli internati militari italiani in Germania è ben diversa. Dopo il disarmo da parte dei tedeschi, i nostri soldati e ufficiali dovettero scegliere se continuare a combattere a fianco dei nazifascisti, o essere inviati nei campi di detenzione in Germania. «Con il termine internati militari italiani venivano identificati dalle autorità tedesche i soldati italiani, circa 800mila, deportati in Germania dopo l’8 settembre - spiega Andrico - In pochi giorni i nazisti disarmarono e catturarono 1.007.000 italiani, su un totale di circa 2.000.000 di militari in armi. Ne furono catturati 58.000 in Francia, 321.000 in Italia e 430.000 nei Balcani. 196.000 italiani scamparono alla deportazione dandosi alla fuga. Il 10% dei prigionieri accettò l’arruolamento nell’esercito nazifascista. Gli altri divennero Imi, impiegati come manodopera coatta, privi delle tutele della Croce Rossa, insieme ai deportati politici e ai deportati per motivi razziali». Furono prigionieri politici, o per motivi di sicurezza, anche Bartolomeo Stefano Ferretti, di Farfengo, che morirà in Germania il 29 aprile 1945, e Giuseppe Bono, del capoluogo, che morirà qualche anno dopo il ritorno a casa. Gli internati lavoravano nei campi, nelle industrie, in miniera, nell’edilizia, in condizioni di lavoro estremamente disagevoli. Molti persero la vita per le condizioni disumane. Andrico ha recuperato 141 ruoli matricolari di Imi nati o residenti a Borgo San Giacomo e frazioni, di 57 dei quali sono stati ritrovati i parenti. Quattro soldati, per aver partecipato alla «Resistenza passiva» nei campi, sono stati riconosciuti come Volontari della Libertà. Altri cinque (Giovanni Brighenti, Bortolo Sossi, Francesco Tomasoni, Angelo Ranzenigo e Faustino Zanoni), dopo essere fuggiti dalla prigionia, combatteranno nella Guerra di Liberazione. Dopo la fuga, sono morti da partigiani Girolamo Aresi, Faustino Romano e Abramo Terraroli. Sette i deceduti in prigionia: Guido Baronchelli, Bortolo Ferretti, Giuseppe Bono, Emilio Baiguera, Giovanni Cominelli, Ambrogio Ghirardi e Antonio Savoldi. Nell’affondamento della Petrella, nave italiana sequestrata dai tedeschi e silurata dagli inglesi, nel febbraio 1944, a Creta, perirono Giuseppe Tira e Mario Bulla, dichiarati dispersi in mare. La ricerca di Andrea Andrico sarà presentata stasera, alle 21, nell’auditorium della Cassa Rurale di Borgo San Giacomo. • © RIPRODUZIONE RISERVATA

Suggerimenti