Il tempio dello shopping è diventato un ecomostro

di Cinzia Reboni
I plinti abbandonati che svettano tra pozze d’acqua e rovi nel centro commerciale mai nato sembrano inquietanti alberi «alieni»FOTOLIVE/SERVIZIO FOTOGRAFICO   DI  FILIPPO VENEZIA  I lavori di costruzione della cittadella dello shopping «made in Italy» sono fermi da 18 anni: nel progetto dovevano essere investiti qualcosa come 60 milioni di euro
I plinti abbandonati che svettano tra pozze d’acqua e rovi nel centro commerciale mai nato sembrano inquietanti alberi «alieni»FOTOLIVE/SERVIZIO FOTOGRAFICO DI FILIPPO VENEZIA I lavori di costruzione della cittadella dello shopping «made in Italy» sono fermi da 18 anni: nel progetto dovevano essere investiti qualcosa come 60 milioni di euro
I plinti abbandonati che svettano tra pozze d’acqua e rovi nel centro commerciale mai nato sembrano inquietanti alberi «alieni»FOTOLIVE/SERVIZIO FOTOGRAFICO   DI  FILIPPO VENEZIA  I lavori di costruzione della cittadella dello shopping «made in Italy» sono fermi da 18 anni: nel progetto dovevano essere investiti qualcosa come 60 milioni di euro
I plinti abbandonati che svettano tra pozze d’acqua e rovi nel centro commerciale mai nato sembrano inquietanti alberi «alieni»FOTOLIVE/SERVIZIO FOTOGRAFICO DI FILIPPO VENEZIA I lavori di costruzione della cittadella dello shopping «made in Italy» sono fermi da 18 anni: nel progetto dovevano essere investiti qualcosa come 60 milioni di euro

Cinzia Reboni Da embrione di tempio dello shopping ad eco-mostro il passo è stato lungo, ma inesorabile. Ed a distanza di 15 anni dalla posa della prima pietra, non c’è speranza di una seconda vita per l’imponente relitto edilizio che agonizza nel cuore della Bassa. Doveva essere la risposta «made in Italy» all’Ikea, una città - anzi una Cittadella, come era stata chiamata - dedicata all’arredamento della casa nella dimensione più ampia del termine. Dalle cucine componibili ai divani, dalle tende al giardino passando per accessori e climatizzatori: l’idea era di proporre un luogo dove entrare senza idee e uscire con l’abitazione totalmente arredata. CINQUANTAMILA metri quadri di superficie commerciale e altrettanti di strutture esterne con spazi verdi, fontane e panchine dove concedersi un po’ di relax durante lo shopping intensivo. I promotori - un gruppo di investitori guidati da un imprenditore bresciano - avevano affidato il progetto ad un pool di architetti di grido che si erano ispirati al Serravalle Retail Park. Nello store di San Gervasio avrebbero trovato spazio punti vendita mono-brand dei produttori di pentole e posate della Valgobbia e di piastrelle della Bassa, solo per citare alcune delle eccellenze del territorio. Ma non solo: erano previsti ristoranti, multisala cinematografica, ipermercato, sala giochi. Un progetto faraonico. Un investimento di circa 60 milioni di euro che aveva fatto da traino anche ad un’altra grande opera infrastrutturale, ovvero l’apertura di un casello autostradale a San Gervasio al servizio appunto del megastore, del parco acquatico Le Vele, dell’impianto di sci nautico e del bosco del Lusignolo. Il progetto era partito di slancio a fine anni Novanta, ma solo nell’estate del 2004 erano iniziati i lavori con la posa delle strutture portanti, contando di chiudere il cantiere entro il 2006. Poi la frenata, nel 2008, legata ai guai finanziari e giudiziari dell’imprenditore capofila di Acme, accusato di distrazione di fondi. Infine lo stop definitivo, avvenuto dopo la sua morte prematura. Di quei 100 mila metri quadri il gruppo ne ha realizzati solo il 10-15%, ora tutti da demolire. LA PERIZIA DEL 2008 aveva valutato il complesso 19,9 milioni di euro, ma dopo le numerose aste andate deserte si è arrivati all’aprile 2017 con una base di 3 milioni e 600 mila. A frenare gli investitori i costi legati alla bonifica dell’area: gli imponenti cubi di cemento dovranno essere demoliti, con un esborso previsto di 1,3 milioni. Ai quali vanno aggiunte le spese per l’acquisto di 9.400 metri quadrati attigui, che il Pgt fa rientrare nell’ambito dell’intervento, e la realizzazione della strada di collegamento con il paese. Senza contare che il Comune avanza un credito rilevante di Imu. Il sogno del centro commerciale è diventato un incubo: quell’ecomostro si staglia su San Gervasio come un relitto abbandonato, una montagna di cemento spiaggiata sulla fertile campagna della Bassa. Piloni che si alzano solitari, enormi scatoloni di calcestruzzo in rovina. «Negli anni molte persone sono venute a visionare l’immobile - spiega il curatore fallimentare Giovanni Rizzardi -: anche ucraini, russi, turchi francesi... Ma finché non ci sarà un interlocutore serio non ha nemmeno più senso metterlo all’asta. Senza contare che andrebbe comunque rifatta la perizia: tutto quello che resta della costruzione va demolito, il sito bonificato. L’unico valore è quello dell’area, che resta a destinazione produttiva e commerciale, o al massimo adatta alla costruzione di una casa di riposo, anche se l’idea e l’interesse sono abortiti in fretta». La destinazione urbanistica del sito in realtà concederebbe molta flessibilità ai nuovi proprietari: l’area può ospitare negozi, abitazioni, uffici e piccole attività artigianali-commerciali. Le Amministrazioni comunali del passato hanno tra l’altro incassato direttamente o attraverso l’escussione delle fidejussioni bancarie gli oneri di urbanizzazione per 2,5 milioni di euro, relative ad opere di viabilità peraltro mai realizzate. L’eventuale acquirente potrà insomma in teoria chiedere al Comune di allestire le strade e parte dei parcheggi del complesso. QUALCHE «movimento d’interesse», come detto, c’è stato. Ma si è spento subito dopo una serie di sopralluoghi. «Qualcuno ha verificato la situazione catastale, ma poi si è fermato tutto - conferma il sindaco Giacomo Morandi -: siamo in attesa che qualche imprenditore illuminato faccia qualcosa. L’area è logisticamente appetibile, affacciata sull’autostrada, aperta a possibili soluzioni, sempre naturalmente compatibili con la tutela ambientale. Ma bisogna tener conto delle spese di demolizione e di bonifica, che non sono davvero poche. E il mercato non rema dalla nostra parte». Un’«occasione persa» secondo Giampaolo Mantelli, ex sindaco di San Gervasio ed oggi vice segretario regionale Udc. «Nel frattempo, nei dintorni sono nati altri centri commerciali. Penso a Manerbio, Verolanuova, Pontevico... Anche se la Cittadella di San Gervasio doveva avere un “vestito” diverso, orientato sulla casa e sull’artigianato. A quel tempo era davvero un’idea innovativa, ed in effetti ancora oggi nella zona non c’è nulla che le assomiglia. Ma ormai sono passati quasi vent’anni...». E l’ecomostro è sempre lì. • © RIPRODUZIONE RISERVATA

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