Strage a Torchiera
«Quella mattanza
si poteva evitare»

Ljubisa Vrbanovic durante il processo celebrato  in Serbia in un clima di latente ostilità verso le istituzioni italiane e i parenti delle vittime
Ljubisa Vrbanovic durante il processo celebrato in Serbia in un clima di latente ostilità verso le istituzioni italiane e i parenti delle vittime
Ljubisa Vrbanovic durante il processo celebrato  in Serbia in un clima di latente ostilità verso le istituzioni italiane e i parenti delle vittime
Ljubisa Vrbanovic durante il processo celebrato in Serbia in un clima di latente ostilità verso le istituzioni italiane e i parenti delle vittime

Con un sistema giudiziario più efficace e lineare forse Manolo non sarebbe mai arrivato a Torchiera. Arrestato per il tentato furto di un’auto pochi giorni prima della strage venne rilasciato senza dare tempo agli investigatori di scoprire che era ricercato per cinque omicidi.

A un quarto di secolo dalla strage della famiglia Viscardi e all’indomani della notizia della morte di Ljubisa Vrbanovic, emergono nuovi retroscena su uno dei più sanguinosi crimini compiuti nella recente storia della provincia. Le rivelazioni sono dell’ex deputato Eugenio Baresi che all’epoca della caccia alla «belva dagli occhi gialli» era membro della commissione Terrorismo e Stragi.

«Ricordare le sanguinose scorribande del criminale serbo non è uno sterile esercizio di dietrologia ma un’opportunità per riflettere sul sistema giudiziario e sulle strategie di contrasto alla criminalità. La legalità sta nel rispettare le norme in modo stringente lasciando spazio nullo alla interpretazione», osserva Baresi che riporta l’orologio dei ricordi al 1996, all’epoca del processo a Manolo in Serbia, dove era stato arrestato, dopo essere fuggito dall'Italia.

«Essendo parlamentare eletto nel collegio della Bassa seguivo ovviamente con grande attenzione tutto quello che interessava la zona ed i cittadini che mi avevano eletto - racconta l’ex deputato di Ghedi -. Così ebbi modo di intervenire nei vari ministeri per prestare la massima assistenza a Guido Viscardi, unico sopravvissuto alla strage».

Più volte Baresi contattò l'incaricato d'affari della rappresentanza diplomatica a Belgrado. «La disgregazione della ex Jugoslavia ci aveva privato temporaneamente dell’ambasciatore ma feci tutto quello che si poteva fare per assicurare il massimo dell'assistenza a Guido Viscardi e per ottenere dalle autorità serbe risposte chiare sul caso. Ma non mi limitai a questo».

LA VICENDA presentava punti oscuri e Baresi, con un asfissiante pressing istituzionale riuscì ad ottenere che il fascicolo Manolo finisse sotto la lente della Commissione.

«Si scoprì così che Manolo era stato arrestato a Rimini a luglio del 1990 mentre scassinava una Mercedes. Tentò una fuga rocambolesca per un reato che gli avrebbe consentito il giorno dopo di essere lasciato libero. Gli inquirenti insistettero nella richiesta di conferma della misura cautelare perché viste le modalità dell'arresto, per un reato ritenuto lieve, era presumibile che Manolo nascondesse qualche cosa di più grave».

All’epoca non c’era un archivio digitale come oggi e le impronte dovevano essere inviate a Roma al Nucleo Centrale della Polizia per l'identi ficazione. «Il Gip acconsentì alla richiesta e mantenne in carcere lo sconosciuto, che poi era Vrnanovic», prosegue Baresi. Dopo 20 giorni l'avvocato chiese la sua scarcerazione e, nonostante l'opposizione degli inquirenti che non avevano ancora avuto la possibilità di identi ficarlo, il Gup lo rilasciò.

«DOPO DUE giorni arrivò il dossier che certificava che Manolo già fermato 21 volte dichiarando 21 generalità diverse, era ricercato per cinque omicidi», rimarca l’ex deputato. Troppo tardi per fermare lo slavo che la notte di Ferragosto arrivò a Pontevico con il nipote per compiere la strage. Una tragedia che aprì un dibattito sull’applicazione delle misure cautelari.

«Purtroppo non riuscii a portare avanti la battaglia per eliminare la discrezionalità del giudice nel concedere la libertà a persone che non erano state identificati perché non venni rieletto e purtroppo, nessuno se ne fece carico... nemmeno quelli che non hanno mai smesso di urlare contro la delinquenza - osserva Baresi -. La discrezionalità nella interpretazione della legge, ancora oggi, è spesso causa di decisioni incomprensibili e sconvolgenti». Un monito di pressante attualità.R.PR.

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