Brescia, un sito contaminato ogni 4 paesi

Cinzia Reboni La provincia di Brescia è un immenso campo minato, punteggiato da piccole e grandi bombe ecologiche in attesa di essere disinnescate. Se ne contano in media una ogni 4 paesi, 91 i siti con il suolo, sottosuolo o acque superficiali e di falda contaminati da sversamenti accidentali di sostanze nocive, scarichi abusivi di rifiuti o accumuli di scorie di attività industriali. Una lista «nera» cui si aggiungono le emergenze delle emergenze, ovvero il Sito di interesse nazionale Sin Caffaro e 9 siti di interesse regionale localizzati fra hinterland, Bassa e Valcamonica. LA PERICOLOSITÀ delle aree monitorate tocca ogni grado della scala di allarme: da quello più basso e gestibile delle stazioni di servizio dismesse a quello elevato dell’ex tintoria Eco-Neproma di Dello, il trittico di «archeodiscariche» (Bicelli, Accini, Baratti) di Montichiari o la ex Selca di Berzo Demo, soltanto per citare alcune delle situazioni più critiche monitorate dall’Arpa. Zinco, rame, piombo, cadmio e selenio nel terreno, idrocarburi, solventi clorurati, cromo esavalente e manganese nelle falde sotterranee, sono i fenomeni più gravi provocati dai siti contaminati del Bresciano, che valgono il 10,63% degli 856 della Lombardia. La nostra provincia è seconda soltanto a Milano, che gestisce 382 criticità. Risultano 1.887, invece, i siti lombardi già bonificati, 128 nella nostra provincia (6,78%), mentre quelli potenzialmente inquinati, sottoposti a sorveglianza, sono rispettivamente 807 e 53. Ma a chi spetta risanare il territorio? In teoria dovrebbe valere il principio del «chi inquina paga», ma nella maggioranza dei casi risalire ai responsabili dell’inquinamento è impossibile, spesso perchè si tratta di archecontaminazioni: emblematiche le discariche di pcb e altre sostanze tossiche seppellite negli anni Settanta e riesumate recentemente durante gli scavi per la Tav. Nei casi di contaminazione industriale, si tratta spesso di aziende fallite e la bonifica finisce con lo smarrirsi nelle complesse procedure concorsuali. In tutti questi casi tocca alle istituzioni intervenire. A seconda delle dimensioni del sito «avvelenato», l’onere ricade su Comuni, Regione o Stato. Il Pirellone ha varato nel 2014 un piano di risanamento che prevede una graduatoria in base all'applicazione di un'analisi di rischio che ha permesso di definire le priorità di intervento. Il Comune che chiede di attingere alle risorse regionali deve dimostrare di aver avviato delle azioni di rivalsa nei confronti dei responsabili dell’inquinamento. «Le risorse sono limitate - ammette l’assessore regionale all’Ambiente Claudia Terzi -, per questo stiamo incentivando i privati, solo se non responsabili della contaminazione, che si prendono in carico le bonifiche». Fra le misure c’è lo scomputo dei costi della messa in sicurezza dagli oneri urbanistici o i bonus sull’edificazione. «L'obiettivo - spiega Claudia Terzi - è quello di ridurre sempre di più l'intervento finanziario regionale aumentando l'interesse degli operatori privati per la bonifica dei siti contaminati, attraverso l'introduzione di nuove opportunità come la rigenerazione, o con l'avvio di attività di marketing territoriale finalizzate a favorire la conoscenza delle migliori vocazioni d'uso delle aree per i siti contaminati». NEL CORSO di questa legislatura, la Regione ha stanziato oltre 51 milioni di euro per 69 siti. «In particolare, per il territorio bresciano, siamo intervenuti con 4 milioni di euro per interventi di bonifica su 8 siti - sottolinea Claudia Terzi -. Dobbiamo ricordarci, però, che le risorse regionali per le bonifiche dovrebbero essere solo un’anticipazione: la disciplina stabilisce che sia chi ha causato la contaminazione a sostenere i costi, ma nella assoluta maggioranza dei casi il principio non trova attuazione e siamo costretti a finanziare messe in sicurezza o bonifiche cui i Comuni non riescono a far fronte perchè il responsabile non è stato individuato. Il problema è che le risorse sono sempre più limitate e tutti gli anni dobbiamo aggiornare la triste classifica di quelle che sono le situazioni più gravi e, man mano recuperiamo dei fondi, finanziare i singoli interventi. Certo che la disponibilità di maggiori risorse permetterebbe a tutti noi di non limitarci ad inseguire le emergenze ma programmare interventi strutturali che necessitano, per le loro caratteristiche, di molto tempo». •

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