Cellula terroristica, condanne confermate

di Valerio Morabito
La coppia di terroristi intercettata durante le indagini della Polizia
La coppia di terroristi intercettata durante le indagini della Polizia
La coppia di terroristi intercettata durante le indagini della Polizia
La coppia di terroristi intercettata durante le indagini della Polizia

Valerio Morabito Muhammad Waqas e Lassaad Briki erano una cellula terroristica dormiente pronta ad essere innescata. L’esplorazione di siti internet dedicati ai «foreign-fighter» e alla preparazione di ordigni artigianali e i sopralluoghi ai potenziali obiettivi da colpire non furono «giochi di ruolo» di due giovani mitomani, ma strategie di «persone che avevano risposto alla chiamata della jihad accettando quel substrato organizzativo ed ideologico che divulga l'Isis». Sono queste in estrama sintes+i le motivazioni con cui la Cassazione ha confermato la condanna a sei anni di reclusione per terrorismo internazionale alla coppia di stranieri residenti a Manerbio. IL TUNISINO Lassaad Briki e per il pakistano Muhammad Waqas, vennero arrestati nel luglio 2015 dalla procura di Milano, mentre stavano pianificando attentati in Italia e, in particolare, all’aerobase militare di Ghedi. Da tutti e tre i gradi di processo è emerso dunque il profilo degli «jihadisti della porta accanto». Addetto alle pulizie Briki, 37 anni, e autista in una ditta di distribuzione alimentare Waqas 29 anni, dietro l’immagine tranquillizzante di due lavoratori stranieri si nascondevano aspiranti terroristi dell’Isis. La Cassazione ha ribadito che sono loro i selfie di propaganda e minacce davanti al Duomo di Milano e al Colosseo di Roma che avevano allarmato l’antiterrorismo nazionale. «Voglio entrare in una base militare in un Paese di miscredenti - aveva detto Briki intercettato -. Se non ammazzo brucio un aereo». I difensori dei due stranieri avevano chiesto alla suprema corte la riforma della sentenza di condanna facendo leva sul fatto che Wakas e Briki non hanno avuto contatti con referenti terroristici. «Non è necessario e indispensabile il contatto diretto tra rappresentanti dell'Isis e i singoli aderenti - ha replicato la Cassazione nelle motivazioni -, né può ipotizzarsi che per ciascun associato siano preventivabili e individuabili ruoli e incarichi, così come l'affidamento di compiti predeterminati a livello apicale». L'ADESIONE AL CALIFFATO, proprio per le sue caratteristiche globali, è ben differente «dalle categorie tradizionali della partecipazione alle associazioni tradizionalmente conosciute», scrivono ancora i giudici. La lotta al terrorismo di questi anni ha evidenziato secondo la Cassazione «un’ estrema flessibilità interna delle organizzazioni, in grado di rimodularsi secondo le pratiche esigenze che, di volta in volta, si presentano, in modo da operare anche contemporaneamente in più Stati quindi in tempi diversi e con contatti tra gli adepti sporadici». La minaccia insomma all’areobase di Ghedi era concreta. •

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