«Così il Comune
cercò di affossare
la Gedit»

di Mario Pari
In una foto d’archivio le proteste contro la discarica Gedit
In una foto d’archivio le proteste contro la discarica Gedit
In una foto d’archivio le proteste contro la discarica Gedit
In una foto d’archivio le proteste contro la discarica Gedit

Il processo contro l’ex sindaco di Montichiari Elena Zanola ha vissuto ieri un’udienza chiave. Daniela Grandi presidente del gruppo Gabeca ha ripercorso i rapporti tra il Comune e la discarica Gedit. A partire dalla campagna elettorale per le elezioni amministrative del 2009, quando, ha spiegato: «lo slogan elettorale era“No Gedit“».

LA GEDIT è parte civile nel processo contro Elena Zanola accusata di aver orchestrato una campagna denigratoria nei confronti dell’azienda. Nel 2009, fino alla morte, avvenuta tragicamente nel mese di novembre per un incidente in elicottero, presidente del gruppo era Marcello Gabana, marito di Daniela Grandi. «Mio marito - ha spiegato ieri la teste - non era in buoni rapporti con il Comune dal quale era stato detto che avrebbero osteggiato la nostra attività. Quando è morto ho preso in mano l’azienda. Lavoro a Calcinato, vicino alla discarica e so distinguere gli odori. Il direttore tecnico mi informava di lamentele ed esposti quindi io feci dei sopralluoghi a Montichiari. Poi ci fu l’interlocuzione con il Comune per la convenzione». E quella richiesta considerata troppo alta. «Venivano fatte richieste fuori dalla logica. Avremmo dovuto pagare 13 euro e mezzo a tonnellata mentre a Calcinato la convenzione è di tre euro e mezzo per lo stesso quantitativo. Poi volevamo sapere in che modo sarebbe stato utilizzato il denaro che avremmo dato, ma non ci venne fornita alcuna risposta». I rapporti s’interrompono «nel luglio 2011 e a settembre c’è la prima visita della procura». Ci furono poi le richieste di «cedere l’azienda o di cederne la gestione, ma io respinsi tutto». Si arriva al sequestro della discarica e al lavoro «sotto controllo della magistratura». In quel periodo, ha spiegato Daniela Grandi «subimmo 180 visite dell’Arpa che non trovò mai nulla di irregolare». E di quegli anni, prima del dissequestro, ricorda le lettere anonime con minacce, anche di morte. Poi i controlli «della Polizia locale per degli odori che non esistevano» e «un provvedimento urgente di chiusura annullato il giorno dopo dal Tar». A quella convenzione poi non si è più arrivati. Nella prossima udienza, il 18 luglio, sarà Elena Zanola a svelare la propria verità.

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