DESENZANO. La vittima era stata salvata in extremis ed aveva sempre sostenuto la tesi della rapina degenerata

Faida familiare a colpi
di pistola. «Cold case»
chiuso dopo 10 anni

di Alessandro Gatta
Ferito da una ventina di coltellate a braccia, gambe e dorso, il 44enne è finito all’ospedale di Desenzano
Ferito da una ventina di coltellate a braccia, gambe e dorso, il 44enne è finito all’ospedale di Desenzano
Ferito da una ventina di coltellate a braccia, gambe e dorso, il 44enne è finito all’ospedale di Desenzano
Ferito da una ventina di coltellate a braccia, gambe e dorso, il 44enne è finito all’ospedale di Desenzano

Alessandro Gatta

Aveva tradito la figlia del boss senza nemmeno pentirsi: gesto imperdonabile. Inevitabile la spedizione punitiva: il marito fedifrago le ha prese, ma ha reagito presentandosi in seconda battuta con un amico armato di pistola, che non ha esitato a sparare. Alla fine ha rischiato davvero di morire, trafitto da una ventina di coltellate: si è trascinato in una pozza di sangue fino alla sua auto, ha raggiunto l’ospedale allo stremo delle forze. Periferia di Desenzano, tutto in una notte: era il giugno del 2006.

Quasi dieci anni dopo il mistero è svelato, le indagini a una svolta: nove persone indagate per tentato omicidio. Tutti napoletani, i componenti di una «batteria» con base campana ma attiva anche sul Garda, nel veronese e nel mantovano, specialisti di furti e truffe nelle aree di sosta autostradali. Il nodo della matassa: due persone ricoverate in ospedale quella notte, il primo a Verona e il secondo a Desenzano. Due episodi per anni rimasti nel cassetto, senza che nessuno potesse immaginare una connessione. Erano invece direttamente correlati: entrambi napoletani, facevano parte della stessa banda e si erano scontrati solo poche ore prima.

A scatenare la faida familiare il tradimento di S.V., 44enne napoletano ma che operava sul Garda, sposato con la figlia di E.F., il boss 70enne che comandava da Napoli. L’adulterio in questa sottocultura criminale non si perdona: e così proprio da Napoli un gruppo di sicari aveva raggiunto Desenzano. Primo blitz: botte da orbi, quattro contro uno. Il boss non è contento: «Dategliene ancora». Secondo agguato, ma con sorpresa: il 44enne «ricercato» si presenta con un amico armato. Una sparatoria folle, in mezzo alla strada: uno dei sicari, il 52enne S.R., viene colpito alla gamba e deve correre in ospedale. Si farà ricoverare a Verona, raccontando di essere stato rapinato.

Non è finita: dopo l’ennesimo affronto, il boss lo vuole morto. Il fedifrago viene allora aggredito ancora una volta, quando è solo, con una ventina di coltellate a braccia, gambe e dorso. Raggiunge il pronto soccorso di Desenzano in fin di vita: ai medici dirà di essere stato aggredito al casello autostradale.

DUE VERSIONI dei fatti che all’epoca vennero considerate «poco credibili», senza però che ne seguisse alcuna indagine. Il fascicolo è stato riaperto pochi mesi fa dal Commissariato di Desenzano: indagini dirette dal vicequestore Bruno Pagani e coordinate dal pm Lara Ghirardi. Intercettazioni, testimonianze, referti: un viaggio a ritroso alla ricerca della verità.

Tra i 9 indagati ovviamente il marito fedifrago, uno dei suoi esecutori, il boss e la moglie, il figlio: ora accusati di tentato omicidio, porto di arma da sparo, porto di coltello di genere proibito. Avvisi di garanzia, per tutti: la magistratura ne ha chiesto il rinvio a giudizio. Alcuni di loro sono già in cella, e hanno ricevuto la notifica in carcere.

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