Le palafitte di San
Sivino riemergono
dal passato

di Alessandro Gatta
L’area palafitticola di San Sivino: numerosi a pochi metri dalla riva i resti dei pali che reggevano le capanne
L’area palafitticola di San Sivino: numerosi a pochi metri dalla riva i resti dei pali che reggevano le capanne
L’area palafitticola di San Sivino: numerosi a pochi metri dalla riva i resti dei pali che reggevano le capanne
L’area palafitticola di San Sivino: numerosi a pochi metri dalla riva i resti dei pali che reggevano le capanne

Tracce di una civiltà lontana che giacciono sommerse da più di 4000 anni, coperte da pochi metri d’acqua, a poche decine di metri dalla riva: sono le palafitte del sito Unesco di San Sivino a Manerba, noto anche come «Gabbiano», svelate per la prima volta nel 1971 e oggi protagoniste di un nuovo progetto di ricerca e di valorizzazione che coinvolgerà anche altri siti palafitticoli del Garda, a Desenzano e Polpenazze (ne parliamo nel box accanto) per un investimento complessivo di 150mila euro.

LA NOTIZIA del finanziamento regionale è recente: entro la fine dell’anno i subacquei e gli archeo-sub torneranno sott’acqua, al largo del campeggio Zocco, per un lungo lavoro di mappatura georeferenziata che andrà a sostituire le uniche due mappe esistenti, comunque parziali, una del 1971 (un quadrante di 6 metri per 6, ma che al suo interno conta già 480 pali di palafitte) a cura della Tritone Sub di Desenzano, gli scopritori della meraviglia che è sito Unesco dal 2011 e che torneranno di nuovo in acqua a seguito di un accordo di collaborazione con il Comune di Manerba e il Museo archeologico della Valtenesi, e un’altra del 1978, realizzata dall’archeologo Lawrence Barfield insieme agli studenti dell’Università di Birmingham. Le ultime analisi al carbonio C-14, effettuate nel 2013 e lo scorso anno, hanno permesso di datare con esattezza le origini e lo sviluppo del sito archeologico: le palafitte risalirebbero all’antica e media Età del Bronzo, tra il 2200 e il 1400 a.C. Sempre nel 2017 si è conclusa una nuova misurazione dell’area, confermata in oltre 10mila metri quadrati: il tutto è protetto da 6 boe gialle, attrezzate con bandierine in tre lingue che spiegano di cosa si tratta. In zona è ancora possibile nuotare o immergersi, vietato invece il transito in barca, a remi o motore, e pure la pesca. Dagli anni ’70 ad oggi purtroppo sono tantissimi i reperti andati persi, anche rubati da turisti e curiosi: un’ascia in bronzo venne ritrovata solo una ventina d’anni fa a Milano, nell’ambito di un’operazione dei carabinieri che smascherò un trafficante di reperti archeologici. «Il nostro grande obiettivo è quello di realizzare degli scavi veri e propri - spiega Brunella Portulano, direttore del Museo di Manerba - ma queste indagini servono a tutelare e valorizzare il sito, a far capire alla gente quanto è importante». La fase finale del progetto prevede anche attività di visite guidate sott’acqua.

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