La crisi abbassa
le saracinesche
delle botteghe

di William Geroldi
Il numero dei negozi traccia da anni ormai una curva negativa
Il numero dei negozi traccia da anni ormai una curva negativa
Il numero dei negozi traccia da anni ormai una curva negativa
Il numero dei negozi traccia da anni ormai una curva negativa

Non è un’emorragia, ma un lento e inarrestabile stillicidio senz’altro. Sempre più negozi al dettaglio alzano bandiera bianca, abbassano la saracinesca e cessano l’attività. Da una decina d’anni ormai, dall’inizio della crisi, il saldo continua ad essere negativo. Lo confermano i numeri di un campione costituito da oltre una ventina di Comuni bresciani, di grandi e medio-piccole dimensioni, riportati in tabella, dalla cui lettura si intuisce il declino del dettaglio. Che appunto non evidenzia crolli da record - e ci mancherebbe - ma conferma quella lenta e costante contrazione di cui si parlava in premessa. Per non dire di altri frutti avvelenati di questa situazione poiché nei piccoli centri ad esempio la chiusura di un negozio priva la comunità di un servizio importante, talvolta unico, in particolare per gli anziani. Nelle «capitali» della provincia, a sinistra nella tabella, nonostante la resistenza della categoria, sono scomparsi 75 negozi al dettaglio tra il 2009 e il 2017, il comparto dell’abbigliamento è quello che più soffre in genere, ma non è da meno l’alimentare. Colpisce il dato negativo di Salò, con -36 unità, seguito da Desenzano con -13, flessione singolare per delle località che dispongono di una risorsa in più, il flusso turistico. NON VANNO meglio Chiari, Ghedi, Gavardo, mentre Rovato e Darfo che si trovano in una zona non certo priva di alternative commerciali (leggi grande distribuzione) al contrario segnalano una positiva inversione di tendenza. Non cambia di molto il quadro se si prende in considerazione la realtà di Comuni medio-piccoli dove tuttavia la chiusura dei negozi ha un peso specifico maggiore perché un assortimento giù contenuto finisce con l’assottigliarsi. Villanuova al riguardo registra una decina di cessazioni che in valore percentuali si traduce nel 20 per cento in meno di negozi, uno su cinque; in pianura anche il piccolo Alfianello soffre per la dipartita di sei negozi su un totale di 21. Molti resistono, e Corteno Golgi con un colpo di reni mette a segno un incoraggiante +1. Ma il quadro generale rimane preoccupante, non certo vocato all’ottimismo, come conferma Alessio Merigo, direttore di Confesercenti: «Non ci sono affatto segnali di una inversione di tendenza, direi che questo stillicidio sta continuando e continuerà, e si unisce peraltro ad un’assenza di ripresa dei consumi». Gli acquisti on line hanno inferto un’ulteriore mazzata al comparto, visto che secondo calcoli di Confesercenti vale il 15/16 per cento. «C’è poi un aspetto importante - ricorda Merigo - che riguarda la difficoltà dell’accesso ai centri storici con pesanti ricadute sulle attività». Senza dimenticare il costo delle locazioni, vera spina nel fianco. Quali i possibili rimedi? «Parlerei invece delle conseguenze di tutto questo. Consiglio agli amministratori dei nostri Comuni di passeggiare per le vie dei e interrogarsi su che cosa sta avanzando: il rischio di un degrado ed impoverimento dei nostri centri è molto forte». • © RIPRODUZIONE RISERVATA

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