«La vittima dei ladri non ha diritto alla pistola»

di Cinzia Reboni
Porto d’armi: dal Consiglio di Stato un freno ai permessi
Porto d’armi: dal Consiglio di Stato un freno ai permessi
Porto d’armi: dal Consiglio di Stato un freno ai permessi
Porto d’armi: dal Consiglio di Stato un freno ai permessi

Cinzia Reboni Aver subìto dei furti in azienda ed essere titolare di un’impresa di alto livello non danno diritto al porto d’armi. Nel pieno del dibattito sulla legittima difesa, il Consiglio di Stato mette un paletto nella corsa agli «armamenti» domestici ribaltando la precedente sentenza del Tar. Il caso ruota attorno alla richiesta di un imprenditore camuno, titolare di un’azienda con cento addetti, specializzata a Piancamuno nel montaggio e manutenzione di impianti industriali. NEL 2008, PREOCCUPATO di un’escalation di furti nella zona, aveva chiesto il porto d'armi per una pistola per difesa personale. Domanda respinta dal prefetto dell’epoca, che aveva ritenuto insussistenti gli elementi che giustificassero l’effettivo bisogno di andare in giro armato. Nel 2012 il Tar ha accolto il ricorso dell’imprenditore, «imponendo» una nuova istruttoria e il rilascio del porto d’armi. Il pronunciamento è stato impugnato dal Ministero dell’Interno davanti al Consiglio di Stato, che ha stabilito che l’imprenditore non ha diritto al permesso di girare con la pistola. Il massimo grado della giustizia amministrativa ha ritenuto congrua la valutazione del prefetto, che «ha rilevato che l’incolumità dell’imprenditore non si può considerare a specifico repentaglio». L’appartenenza ad una «categoria» professionale, ad eccezione delle forze dell’ordine, non è di per sé tale da giustificare il rilascio delle licenze di porto d’armi, afferma nella sentenza il Consiglio di Stato: anche commercianti di preziosi, avvocati, notai, operatori del settore assicurativo o bancario, investigatori privati sono sottoposti a un’istruttoria. Neppure i furti subiti - richiamati nella memoria dei legali dell’imprenditore - sono per i giudici la prova di un «dimostrato bisogno di una pistola». Il Consiglio di Stato si addentra poi anche in due aspetti giurisprudenziali che pongono un freno alla liberalizzazione delle armi. Nelle valutazioni per il rilascio della licenza di porto di pistola, «deve prevalere la salvaguardia dell’ordine e della sicurezza pubblica generale». Citando la Corte Costituzionale, il Consiglio di Stato rimarca come «il porto d'armi non costituisce un diritto assoluto, rappresentando, invece, eccezione al normale divieto di portare pistole». L’imprenditore è stato condannato a rifondere al Viminale le spese di giudizio, pari a 1.500 euro. • © RIPRODUZIONE RISERVATA

Suggerimenti