Olio «made in
Garda» nel mirino
del falsari

Luciano Scarpetta Ammonta ad oltre 100 miliardi il valore del falso «made in Italy» agroalimentare nel mondo con un aumento record del 70% nel corso dell’ultimo decennio, per effetto della pirateria internazionale che utilizza impropriamente parole, colori, località, immagini, denominazioni e ricette che si richiamano all’Italia per alimenti taroccati che non hanno nulla a che fare con il sistema produttivo nazionale. È quanto emerge dallo studio presentato dalla Coldiretti all’inaugurazione del Cibus di Parma. NEL «PANIERE» delle eccellenze contraffatte figura anche l’«oro verde» bresciano, ovvero gli oli ad altissima qualità prodotti sull’alto Garda. Il danno è stimato in meno di milione a stagione, una cifra fisiologicamente contenuta al cospetto di produzioni di nicchia. Ma sull’immagine l’effetto del «falso» è devastante. Capita in pieno boom dell’olioturismo, con porte spalancate dei frantoi a turisti per lo più stranieri, di assistere a illeciti compiuti con sistematica professionalità. «Sul Garda - è l’analisi del tecnico Aipol Luca Ferretti – si verificano episodi di alterazione delle indicazioni geografiche o di frodi nelle quali soprattutto in stagioni caratterizzate da scarse produzioni, si spaccia per gardesano olio prodotto altrove». Il cliente pensa di comprare un extravergine puro o magari un dop, e acquista invece un olio diverso, magari miscelato artificialmente. Come correre ai ripari? «I controlli dell’Ats, Nas e Nucleo repressione frodi – spiega Ferretti - ci sono, ma purtroppo solo per chi produce olio Dop». Nell’extravergine non c’è l’obbligo dell’analisi chimica: «In questo caso il produttore - continua Ferretti - si assume la responsabilità del contenuto della bottiglia». DISCORSO DIVERSO invece per il biologico e il Dop definito nel disciplinare firmato dal Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano «lo champagne degli oli d’oliva». Il disciplinare di produzione prevede l’uniformità delle varietà di olivo utilizzate per la produzione nelle aree geografiche che deve adesso necessariamente provenire da oliveti piantumati a Casaliva, Frantoio o Leccino per almeno il 55%. Percentuale che s’innalza fino all’80% per l’area trentina con l’aggiunta della varietà Pendolino. Nel ciclo di produzione poi, l’olio viene controllato per legge da un ente certificatore esterno che passa oltre ad effettuare verifiche in campo, anche a prelevare quantitativi da analizzare chimicamente prima dell’imbottigliamento. «Senza il loro via libera non è possibile commercializzare nulla», precisa Ferretti. Ai tecnici basta poco per svelare gli inganni. «L’olio dop prodotto nell’Italia settentrionale ha ad esempio valori di acido leico molto più alti, tra il 75 e l’80% rispetto ai prodotti del sud – spiega Ferretti -. Quello tunisino arriva al 30%». Per dribblare i raggiri basta poco: innanzitutto bisogna diffidare dai prodotti a prezzi contenuti. «Un olio di qualità non è mai venduto a 10 euro al litro - avverte Luca Ferretti -. Durante le visite ai frantoi cerchiamo sempre di informare i consumatori educandoli agli assaggi. A piccoli passi si può arrivare alla consapevolezza delle caratteristiche di un prodotto, iniziando dall’odore, dai profumi freschi e piacevoli. A volte c’è chi scambia addirittura il “rancido” di cantina per qualità». •

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