GHEDI. «Animal Amnesty» ha promosso un incontro pubblico in vista dell’appello dei veterinari

Processo Italcarni sotto la lente
«Quei controlli mai avvenuti»

L’avvocato Vittorio Arena
L’avvocato Vittorio Arena
L’avvocato Vittorio Arena
L’avvocato Vittorio Arena

Un incontro pubblico per mettere a fuoco il caso giudiziario Italcarni, che nel febbraio scorso ha portato al patteggiamento della pena del gestore del macello e di tre dipendenti e alla condanna di primo grado per i due veterinari Gian Antonio Barbi e Mario Pavesi, che per conto dell’Ats avrebbero dovuto controllare l’attività del macello di Ghedi. In attesa del processo d’appello - Animal Amnesty - che si era costituita parte civile al processo - ha chiamato a ricostruire la vicenda l’avvocato Vittorio Arena. Il legale, introdotto da Piercarlo Paderno di Animal Amnesty, ha dato una sua lettura della sentenza. «Il giudice ha ritenuto che alcuni dei comportamenti fossero “leciti“ - ha spiegato -, anche se in caso di macellazione speciale d’urgenza devono essere fatte delle verifiche ben precise. Cosa che invece, nel “macello spazzino“, come è stato definito dal pm Ambrogio Cassiani, non avveniva».

A Pavesi è stata inflitta una pena di un anno e sei mesi per falso e minacce nei confronti della collega che aveva segnalato le irregolarità, ma è stato assolto per il reato di maltrattamenti agli animali. «Il veterinario - ha ricordato Arena - era accusato di aver sottoscritto il registro di macellazione, certificando controlli sui bovini che in realtà non erano mai avvenuti. Quanto all’altra accusa, una volta utilizzata la pistola captiva che di fatto provoca la morte cerebrale dell’animale, non si può più parlare di maltrattamento».

Quanto a Barbi, è stato condannato a 2 anni per falso e perchè, pur avendo l’obbligo giuridico di impedire i maltrattamenti, ha consentito che i bovini fossero sottoposti ad inutili sofferenze, agganciati a catene e trascinati di peso dai muletti sul terreno sporco di feci e di sangue. Scene documentate dalle telecamere nascoste piazzate dagli inquirenti. «Di fatto - ha aggiunto l’avvocato Arena - i veterinari non controllavano mai: il timbro l’avevano addirittura i dipendenti, e loro si limitavano a firmare i verbali».

L’intenzione del pm «era quella di arrivare a stabilire un nesso tra maltrattamento animale e contaminazione delle carni - ha sottolineato Arena -. Ma questo non è stato possibile, dal momento che in fase di campionamento non è stato rispettato il “circolo del freddo“». Non si può dunque affermare con certezza se la carica batterica sia scaturita dal trascinamento degli animali a terra, tra sangue e feci di altri animali, o invece perchè la carne non è stata riposta immediatamente a -20 gradi dopo il campionamento. Una «leggerezza» giustificata dal fatto che, in soli due giorni, è stato campionata l’intera azienda, quando invece solitamente si parla di 4-5 prelievi ad ogni controllo. Non si può infine escludere che, in fase di macellazione, sia stato praticato un taglio sbagliato che squarciando l’intestino abbia infettato la carne. Tutti elementi poco certi, che hanno però dato adito a dubbi leciti.

Quel che è certo è che «tutte le operazioni che avvenivano nel macello non sono state controllate dai veterinari», ha concluso Arena. Oggi il mattatoio di Ghedi è ripartito con una nuova gestione all’avanguardia nel rispetto delle norme di tutela degli animali.C.REB.

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