«Io, scampato all’inferno del lager»

di Fausto Scolari
Giuseppe Bono con la coperta che conserva come una reliquiaUn campo di concentramento tedesco
Giuseppe Bono con la coperta che conserva come una reliquiaUn campo di concentramento tedesco
Giuseppe Bono con la coperta che conserva come una reliquiaUn campo di concentramento tedesco
Giuseppe Bono con la coperta che conserva come una reliquiaUn campo di concentramento tedesco

Sono passati 74 anni da quando i russi sul finire dell’aprile 1945 misero la parola fine all’incubo della prigionia degli internati militari italiani in un campo di concentramento vicino a Berlino. In questi giorni, all’avvicinarsi della ricorrenza della Giornata della memoria, i ricordi di Giuseppe Bono, 97 anni, si fanno più intensi e le emozioni lo rapiscono, riavvolgono il nastro della memoria alla sua esperienza di prigioniero UN RISVEGLIARSI di ricordi tremendi, seppur offuscati dal passar degli anni e dalla memoria che non è più come quella di un tempo. Ma la sensazione di disperazione, quella della fame e del freddo patito, della paura di non ritornare più a casa lo sente tutt’oggi. Il volto degli amici coi quali ha condiviso quella tragedia, di quelli che seppur provati dagli stenti, ridotti a scheletri, si sono salvati e di quelli che purtroppo sono morti è ben vivo nella sua testa. Giuseppe Bono è un sopravvissuto. Classe 1921, nato a Paderno Franciacorta l’ex internato nei campi di concentramento nazisti non si separa mai da una coperta che lo ha accompagnato nella sua odissea attraverso la follia di un’epoca segnata dalla dittatura nazifascista. In paese tutti lo conoscono anche perché per tanti anni ha gestito il negozio di alimentari «Vegè». Del paese è la memoria storica che tutti rispettano ed a cui vogliono bene. Partì per la guerra come soldato d’artiglieria nel 1942, assegnato al corpo d’armata a Napoli. Poi l’8 settembre: l’armistizio che gettò nel caos e divise il Paese. Beppe Fenoglio in Primavera di bellezza (1959) raccontò l’8 settembre del 1943 dal punto di vista di un soldato: «E poi nemmeno l’ordine hanno saputo darci. Di ordini ne è arrivato un fottio, ma uno diverso dall’altro, o contrario. Resistere ai tedeschi - non sparare sui tedeschi - non lasciarsi disarmare dai tedeschi - uccidere i tedeschi - autodisarmarsi - non cedere le armi». Ed è proprio quello che accadde anche al ragazzo padernese. Disorientato, senza ordini, senza saper dove andare fu facile preda dei nazisti. Giuseppe Bono assieme ai suoi commilitoni era di servizio a Bologna dove fu fatto prigioniero dai tedeschi, messo su un carro bestiame e spedito in un campo di concentramento. «Non ricordo che nome avesse, so che era a pochi chilometri da Berlino. La vita là dentro - racconta l’ex internato - era dura, fatta solo di fame e di lavoro. Cercavano dei carpentieri e mi feci avanti, anche se quel mestiere proprio non sapevo farlo. Ma era l’unico modo per non morire. Mi fecero lavorare assieme a dei civili nei luoghi le bombe avevano creato dei danni. La sera mi riportavano nel campo di concentramento. Per sopravvivere rubavamo le patate cercate tra gli scarti e lo sporco. Il tempo passava lentamente e con tanta paura. Grazie al cielo ad aprile del 1945 arrivarono i russi. Finalmente libero con mezzi di fortuna e a piedi feci ritorno a casa. Pesavo poco più di 40 chilogrammi, ma la vita ricominciava a sorridere. Spero che mai più accadano quelle sciagure di cui fui mio malgrado testimone». • © RIPRODUZIONE RISERVATA

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