Torti e ricorsi: l’esproprio diventa un caso

di Giancarlo Chiari
L’area al centro della polemica e sullo sfondo lo scheletro della cabina Enel in fase di realizzazione
L’area al centro della polemica e sullo sfondo lo scheletro della cabina Enel in fase di realizzazione
L’area al centro della polemica e sullo sfondo lo scheletro della cabina Enel in fase di realizzazione
L’area al centro della polemica e sullo sfondo lo scheletro della cabina Enel in fase di realizzazione

Il costo della manodopera, la concorrenza più o meno sleale, gli ostacoli burocratici, ristrutturazioni e investimenti: rilanciare un’azienda tessile in tempo di crisi non è facile. Se poi ci si mettono pure i disagi legati a un esproprio d’urgenza, ecco che l’impresa da difficile diventa assai complicata.

Comprensibile e giustificato, quindi, lo sconcerto di Alberto Badà, 42enne amministratore delegato della Pontoglio spa, in cabina di regia, assieme a una nuova proprietà, nell’operazione rilancio della storica Manifattura Velluti.

«NON È POSSIBILE accettare un esproprio d’urgenza dentro al perimetro dell’azienda per costruire una cabina Enel a servizio della Seva, società della Valle d’Aosta, che sta realizzando una centralina idroelettrica e che guadagnerà incassando contributi che paghiamo acquistando l’energia. Mi trovo espropriato di un’area interna alla fabbrica con servitù, come il diritto di passaggio a qualsiasi ora. La costruzione della centrale poi impedirà la realizzazione del collegamento al capannone da riqualificare, cedendone un terzo al Comune, come prevedeva la convenzione firmata da chi prima di me gestiva l’azienda. Il nuovo canale, a monte della fabbrica, con sponde più alte di un paio di metri rispetto al precedente dismesso da oltre 30 anni anche per ragioni di sicurezza, sottrarrà acqua al fiume e di fatto renderà la manifattura un’enclave circondata dall’acqua, mettendo anche a rischio in caso di esondazione 71 posti di lavoro».

L’amministratore delegato, riferendo di non essere mai stato consultato da nessuno prima della comunicazione a febbraio del procedimento di occupazione provvisoria delle aree, sottolinea: «L’occupazione provvisoria, che non limita solo attività e riqualificazione di un capannone, con convenzione già firmata, mi è stata comunicata a febbraio dalla Provincia, che nel 2015 aveva convocato la conferenza dei servizi invitando Arpa, Ast, Soprintendenza, Parco e Consorzio dell’Oglio e Seva, ma non la Pontoglio Spa. Mi sono recato in Provincia per chiedere spiegazioni e mi è stato detto di presentare ricorso al Tar. Ho incaricato un avvocato di presentarlo e il Tar ha risposto che la questione non è di sua competenza perché in questi casi bisogna rivolgersi al Tribunale delle acque di Roma. Ho fatto presentare un altro ricorso, di tipo civile, e il tribunale ha fissato l’udienza a ottobre, quando ormai la nuova centrale sarà terminata. Non mi fermerò, perché mi sembra assurdo quanto successo: non ho mai visto i responsabili della Seva che hanno occupato l’area senza scucire un euro e senza avere mai trattato con noi».

Qualche contatto tra le due aziende in passato però c’era stato, anche se tutto si risolse con un nulla di fatto, racconta ancora Badà.

«LA PRECEDENTE proprietà mi ha riferito che Seva provò ad acquistare parte dei fabbricati, ma la loro offerta fu ritenuta del tutto inadeguata. La Pontoglio non ha ricevuto alcuna proposta, né c’è stata alcuna trattativa: questo trattamento mi sembra ingiusto oltre che oltraggioso nei confronti di un’azienda che dà lavoro a 71 persone».

Intanto l’iter del ricorso prosegue. «Ci rivolgeremo a tutti i tribunali, anche a quelli europei, se non otterremo attenzione e giustizia. Perché questo esproprio, definito di pubblica utilità, è in realtà nell’interesse di Seva a danno dei contribuenti che pagano in bolletta i contributi pubblici che l’azienda riceverà per i prossimi 20 anni».

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