«Troppi silenzi
sulla morte di
nostro figlio»

Anwar Ettieq con in braccio la primogenita Abira: «In questo momento di dolore è lei la nostra forza»
Anwar Ettieq con in braccio la primogenita Abira: «In questo momento di dolore è lei la nostra forza»
Anwar Ettieq con in braccio la primogenita Abira: «In questo momento di dolore è lei la nostra forza»
Anwar Ettieq con in braccio la primogenita Abira: «In questo momento di dolore è lei la nostra forza»

Giancarlo Chiari Nell’appartamento a piano terra del condominio, in centro storico a Rovato, la famiglia di Anwar Ettieq, sta metabolizzando il dolore per la perdita del primo figlio maschio, morto un’ora dopo essere venuto alla luce con un taglio cesareo all’ospedale di Iseo. La mamma sta uscendo dalla strettoia dell’angoscia aggrappandosi al sorriso di Abira, la primogenita nata tre anni fa. Suo marito prova a prendere fiato parlando della famiglia, prima di rigettarsi nell’apnea di una tragedia ancora in cerca di verità. SUL MOBILE, al fianco del televisore spicca la gigantesca coppa, vinta da Anwar, in un torneo nazionale di cricket, «Gioco ancora - afferma con un pizzico di orgoglio Anwar immigrato dal Pakistan nel 2007 -, ma il lavoro di corriere per un’azienda di Ospitaletto, mi impegna undici ore e preferisco stare con mia moglie e la mia bimba». Anwar, quarant’anni, parla un ottimo italiano, la 33enne Amna Attieq, sposata in Pakistan nel 2013, è in Italia dal 2015. «Abira, che vuol dire fiore, è nata a Chiari - racconta il papà-: per il secondogenito ci avevano consigliato l’ospedale di Iseo perché l’ecografia era meno invasiva. In gravidanza non c’erano stati problemi, tutto si era svolto secondo le cadenze di una normale gestazione. Quando la sera del 25 marzo si sono rotte le acque - continua Anwar - siamo corsi subito all’ospedale di Iseo, dove Amna è stata ricoverata: non sembravano esserci complicazioni». LA COPPIA era stata rassicurata dai medici. «Dopo il ricovero ci hanno detto che non c’erano rischi nè per la mamma, nè per il bambino perché nelle acque perse non era stato trovato sangue - spiega Anwar -. Sono tornato a casa, ma ho continuato a fare la spola con l’ospedale di Iseo, anche due volte al giorno. Sembrava che tutto andasse bene e i medici tutti ci assicuravano che per la nascita del nostro primo maschio, non c’erano rischi». Ma il dramma era dietro l’angolo. La situazione è precipitata la sera del 27 marzo. «Avevo messo Abira a letto - ricorda Anwar -, quando è suonato il telefonino: mia moglie mi ha passato una dottoressa che mi ha detto che la stavano portando in sala parto. Ho affidato la bambina che s ad un parente e sono corso in ospedale a Iseo, ma non mi hanno lasciato vedere mia moglie». La moglie in inglese aggiunge: «Ho capito che qualcosa non andava bene, quando in sala parto mi hanno praticato un’iniezione nella schiena senza spiegazioni anche se una di loro parlava benissimo in inglese avendo studiato a Londra. Quando il bimbo è nato, lo hanno portato via subito non l’ho mai visto vivo. Me lo hanno mostrato solo da morto». Un decesso ancora avvolto dal mistero. «HO IMPIEGATO mezz’ora per arrivare all’ospedale ma non ho potuto vedere vivo il mio primo figlio». A quasi un mese dalla tragedia nessuno ha dato risposte alla famiglia. «Non puntiamo il dito contro nessuno, ma pretendiamo la verità - incalza Anwar -: sappiamo che è aperta un’inchiesta e che sono state fatte due autopsie, la prima il 28 marzo, quando i carabinieri mi hanno informato della seconda non ho trovato un medico legale per farla seguire. Le uniche informazioni le abbiamo apprese dai giornali: si parla di lesioni anomale, ma di ufficiale non sappiamo nulla. Questo silenzio ci tormenta e aggiunge dolore a dolore. Vorremmo avere un altro bambino, ma prima vogliamo giustizia per quel bimbo vissuto solo un’ora». •

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