«Così ho attraversato l’inferno del Belice»

L’ex carabiniere Lino Balotti
L’ex carabiniere Lino Balotti
L’ex carabiniere Lino Balotti
L’ex carabiniere Lino Balotti

Il calendario purtroppo ricco delle tragedie nazionali ricorda oggi la ricorrenza dei cinquant’anni dello spaventoso terremoto nel Belice. È passato mezzo secolo dalla prima e fortissima scossa avvenuta alle 13,28, ma il ricordo di quell’evento drammatico è ancora ben vivo nella memoria di Bortolino Balotti, oggi un dinamicissimo settantunenne residente a Berzo Demo e allora carabiniere ausiliario di 21 anni, inviato insieme a molti altri soccorritori in divisa mobilitati dal generale Carlo Alberto Dalla Chiesa che era il comandante dell’Arma a Palermo. FU PROPRIO il generale a chiedere e a ottenere dal Comando nazionale dell’Arma mezzi e rinforzi, e oggi Balotti vuole parlare ancora di quei terribili giorni perché «la sensazione, grazie ai contatti che ho ancora in quelle zone, è che la valle del Belice sia stata dimenticata, quasi emarginata: dopo cinquant’anni più nessuno ne parla. Il terremoto - afferma - è circondato da un disarmante silenzio e la zona del sisma e i suoi abitanti non interessano più a nessuno». L’ex carabiniere camuno ricorda che quel 14 gennaio si trovava alla Compagnia di Napoli e con i suoi colleghi venne immediatamente inviato a Palermo per raggiungere Montevago, uno dei paesi rasi al suolo dalle scosse telluriche (fino al decimo grado della Scala Mercalli). «Dopo aver montato una tendopoli per gli sfollati abbiamo iniziato a cercare senza alcuna tregua eventuali superstiti e di notte a stare in ronda per tenere lontano gli sciacalli - racconta -. In quei terribili 50 giorni abbiamo lavorato costantemente sotto la pioggia, ma non ci fermavamo mai perché c’era la fortissima volontà di poter salvare altre vite umane dalle macerie». Poi rievoca in particolare un episodio: «Con due colleghi, scavando con le mani fra i detriti di un’abitazione avevamo percepito che lì sotto c’erano ancora delle persone. Continuando a rimuovere terra e fango abbiamo ritrovato una donna avvolta in uno scialle nero che copriva lei e la sua bambina stretta al petto. Stavano scappando da casa e il crollo dell’architrave della porta le travolse e le uccise». Oltre al generale Dalla Chiesa, che fu costantemente sui luoghi del sisma, il giovane carabiniere di Berzo Demo conobbe un sacerdote molto speciale, l’allora parroco di Sala Paruta e Montevago don Antonio Riboldi (poi vescovo di Acerra, morto lo scorso anno). «Fu certamente la voce più limpida della protesta e del riscatto dei terremotati - ricorda -; un grande nemico della mafia: mi piace definirlo come un vero santo». • L.RAN.

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