L’ospedale di Ikelu è una realtà Il cuore camuno batte in Africa

L’esterno dell’ospedale «camuno» di Ikelu, in Tanzania
L’esterno dell’ospedale «camuno» di Ikelu, in Tanzania
L’esterno dell’ospedale «camuno» di Ikelu, in Tanzania
L’esterno dell’ospedale «camuno» di Ikelu, in Tanzania

Lino Febbrari L’avevano battezzata Pamoja, che in lingua Swahili significa «Insieme». Poi però, al momento di sottoscrivere la nascita dell’associazione la prevista «j» è stata tramutata in una «y», e così la parola ha sostanzialmente perso significato. Peccato per l’incomprensione, ma nonostante l’incidente notarile la sostanza c’è eccome; perchè questa realtà dell’alta Valcamonica accompagna e sostiene da diversi anni l’attività in Tanzania del missionario di Malonno don Tarcisio Moreschi. Dopo aver costruito numerose chiese e scuole, una decina di anni fa il sacerdote ha iniziato l’ennesima avventura edilizia: un ospedale nella località di Ikelu, nato poco alla volta grazie soprattutto all’aiuto dei volontari camuni. La primavera scorsa sono state completate la seconda sala operatoria e la radiologia, e la piccola struttura sanitaria è diventata operativa al 100%. «Poi, grazie all’aiuto di tanti medici italiani nostri amici - spiega Emilio Bianchi, presidente della onlus - abbiamo anche creato un reparto di ortopedia che sta funzionando molto bene. L’istituzione di questa specializzazione medica deriva semplicemente dal fatto che negli ultimi anni anche da queste parti è aumentata notevolmente la circolazione di veicoli e mezzi agricoli, e sono decine le persone che riportano fratture per incidenti stradali». UN ALTRO intervento di rilievo si riferisce alle fornitura di energia elettrica. Visto poi che spesso la società nazionale interrompe la distribuzione anche per diversi giorni, e appurato che l’impianto fotovoltaico da 20 Kvolts (abbinato a un generatore diesel che parte automaticamente quando la richiesta aumenta) installato nel 2015 ormai non riesce più a garantire l’energia a tutti i padiglioni, i volontari stanno valutando la soluzione più praticabile per potenziare la produzione, e rendere autosufficiente l’opedale made in Valcamonica. «Stiamo valutando se posizionare un palo eolico o raddoppiare l’impianto attuale - chiarisce Giovanni Baccanelli, imprenditore del settore energetico e volontario di Pamoya -. Oltre alle strutture sanitarie pensiamo poi di fornire energia anche alle case delle suore e dei medici». Si prepara quindi un’altra avventura per don Tarcisio e i suoi volontari camuni. Che tra l’altro, da pochi mesi si sono buttati a capofitto anche in un’altra missione sanitaria: prestare cure ai bambini ustionati da acqua bollente o kerosene. «Nel solo 2017 i nostri medici ne hanno salvati una trentina - conclude Bianchi - e contiamo sull’aiuto di tutti per andare avanti». Per sostenere l’attività di don Tarcisio basta visitare il sito www.pamoya-onlus.it. •

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