Movente disumano:
perchè il papà
merita l’ergastolo

di Luciano Ranzanici
I fratellini Andrea e Davide Patti uccisi dal papà a Ono San Pietro
I fratellini Andrea e Davide Patti uccisi dal papà a Ono San Pietro
Il rogo dei fratellini

Pasquale Iacovone voleva vendicarsi della moglie per la separazione. Per questo ha ucciso i due figli con calcolata premeditazione. Anche l’incendio appiccato alla casa quando i fratellini erano già morti faceva parte di un piano per depistare le indagini e distruggere le prove. Come è frutto di una stessa regìa la decisione di darsi fuoco dopo il duplice omicidio per simulare un tentativo di suicidio.

PER USARE le efficaci parole dei giudici della Cassazione, l’omicidio compiuto il 16 luglio del 2013 a Ono San Pietro dall’imbianchino di 43 anni «trasuda» di premeditazione. Le motivazioni con cui giudici della suprema corte il 13 aprile hanno confermato l’ergastolo inflitto a Iacovone in primo e secondo grado, «cristallizzano» l’orrore di una vicenda che non trova precedenti in Valcamonica.

La Cassazione ha respinto tutte le eccezioni sollevate dal ricorso del legale della difesa Gerardo Milani. Per i giudici del «Palazzaccio» non esistono motivi per dubitare del comportamento della procura nelle indagini, non ci sono ipotesi di travisamento dei fatti e delle prove, non furono lesi i diritti della difesa dalla perizia psichiatrica che ha stabilito che Iacovone era capace di intendere e di volere. L’aspetto cruciale riguarda però la mancata concessione delle attenuanti generiche e appunto dal «nodo» della premeditazione. Secondo la Cassazione il duplice omicidio è stato preparato, come emerge dalla concatenazione degli avvenimenti e in particolare dalle minacce «di uccidere i figli» rivolte alla moglie Erica Patti. Una circostanza che rafforza l’ipotesi della tragedia annunciata, da sempre sostenuta dai nonni e dalla mamma di Andrea e Davide di 12 e 9 anni.

PER LA CORTE SUPREMA, la prevalenza delle aggravanti sulle attenuanti, decisa dai giudici di primo e secondo grado, è evidente non tanto o meglio non solo perchè ci troviamo di fronte a un papà che ha ucciso i due figli, quanto per le «atroci modalità degli omicidi» e «la ferocia del movente». «Iacovone - si legge nelle motivazioni - aveva il desiderio disumano di vedere soffrire la moglie». La premeditazione si specchia anche nel comportamento successivo agli omicidi tenuto dall’ imbianchino, «che ha tentato di manipolare le indagini simulando elementi di res- ponsabilità di altre persone». Ma, afferma la Cassazione, «nessun altro poteva essere entrato in casa e, appurato che i bambini erano stati uccisi prima di essere carbonizzati, nessuno tranne Iacovone, avrebbe potuto compiere il duplice omicidio e appiccare il fuoco». Nelle motivazioni si conferma che Iacovone si diede fuoco per simulare il suicidio. Un comportamento, per quanto simulato, che aveva ridotto in fin di vita l’imbianchino che ancora oggi convive con gli invalidanti postumi delle ustioni.

Il nonno dei bimbi Lino Patti sostiene «di non aver mai avuto dubbi che la giustizia potesse comportarsi in modo diverso. Questo ovviamente non rimargina una ferita destinata a rimanere aperta per sempre».

Il legale di Iacovone in passato ha annunciato che contro l’ergastolo farà ricorso alla corte Europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo.

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