Ucciso a sangue
freddo dai russi. Risolto
il giallo dell’alpino Volpi

di Domenico Benzoni
Luigi Volpi con la fotografia del padre Giacomo morto in Russia
Luigi Volpi con la fotografia del padre Giacomo morto in Russia
Luigi Volpi con la fotografia del padre Giacomo morto in Russia
Luigi Volpi con la fotografia del padre Giacomo morto in Russia

Quali scoperte può ancora riservare la storia della disfatta di Nikolajewka e della ritirata di Russia? L’amore per il padre perduto in tenerissima età e la voglia di sapere come sia avvenuta la scomparsa hanno fatto la differenza in questo caso. A 74 anni da quegli avvenimenti c’è stato chi, fino a poco tempo fa, ha lavorato per conoscere la verità che nessun documento riusciva a fornire; che nessun reduce voleva confermare.

LA TENACIA ha dato frutti, e la tanto ricercata ricostruzione della morte del padre è venuta a galla. Protagonista della ricerca l’artognese Luigi Volpi, figlio di Giacomo, alpino del quinto reggimento del battaglione Edolo, dato per disperso durante la ritirata e mai più tornato. «Mia madre non ha mai voluto rassegnarsi alla sua morte, lo ha atteso; diceva che prima o dopo sarebbe tornato», racconta Luigi.

Da bambino si può riporre in un angolo della memoria la figura di quel padre appena conosciuto, ma poi, col trascorre degli anni il desiderio di sapere torna a galla, prevale. Rispunta ogni volta che c’è una celebrazione alpina in cui compare il nome di Nikolajewka, ogni volta che una pubblicazione parla della disastrosa ritirata. La voglia di scoprire come fosse morto papà Giacomo è sempre rimasta addosso a Luigi.

Ad aprire uno squarcio nella cruda realtà è stato un incontro, quasi casuale, con i parenti di un alpino di Fonteno, nella Bergamasca, che ebbe mani e piedi congelati e che era finito nella sacca del Don con Giacomo Volpi. Grazie all’incontro si viene a sapere che le due penne nere sono arrivate insieme fino a Nikolajewka. Volpi è ferito agli occhi, non ci vede più; l’amico non riesce a camminare per il congelamento degli arti. Non rimane che aspettare gli eventi e sperare.

Restano nella sacca fino a quando i russi li catturano, li fanno prigionieri e li conducono verso il treno che doveva portarli nel campo di concentramento. Quando si prospetta la possibilità di salire, a fare la differenza tra la vita e la morte sono gli occhi; la vista persa dalla penna nera di Artogne. Un uomo inutile, pensano i russi, e un colpo di fucile mette fine a ogni speranza di tornare in Italia.

Questo il racconto fatto a Luigi Volpi dai parenti dell’alpino di Fonteno, che per anni non ha mai voluto raccontare degli orrori vissuti. Una rimozione che solo il tempo ha attenuato. È proprio grazie al ritorno a galla di quei ricordi che un brandello di storia ha visto la luce e ha consentito a un figlio di sapere come è morto il padre. Non c’è lapide a ricordo dei resti di Giacomo Volpi, non c’è pietra sulla quale incidere la sua data di nascita, 27 luglio 1913, e quella di morte, 26 gennaio 1943. Ma tutto è scritto nel cuore del figlio.

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