Un prezioso volume
racconta il mestiere
dei pastori e il «gaì»

Raccontare la vita grama dei pastori, rinverdirne la memoria, ridare spazio alle immagini di quelli bergamaschi e camuni che fino alla metà dello scorso secolo hanno solcato le nostre valli.

Autunno, è tempo di migrare, scriveva il vate; autunno è tempo di ricordare sembra voler chiosare Giacomo Goldaniga con il suo ultimo lavoro editoriale. Freschissimo di rotative, grazie alla tipografia Valgrigna di Esine, il ricercatore bornese ripropone «Il gaì delle valli bergamasche e della valle Camonica», edizione aggiornata e ampliata di quella già uscita nel 1977.

UN LAVORO che alterna diverse fasi complementari: la parte grafica con note di storia della pastorizia, quella fotografica con scatti in bianco e nero, uno spazio per la bibliografia in tema di gaì e infine il frasario e il lessico di questo gergo di mestiere.

«Oggi il gaì è una lingua dispersa, morta, tramontata assieme alla pastorizia - spiega Goldaniga - non è un tipo di dialetto e nemmeno una lingua segreta, è semplicemente una lingua diversa». I pastori parlavano poco, dialogavano per frasi corte e stringate, scrive ancora l’autore, per cui i frasari sono la vera e autentica letteratura gaì da ricercare e riproporre.

Da qui la serie di frasi sul cibo, sulle donne, sul rapporto spesso conflittuale tra pastori e agricoltori, sul tempo, con relativa traduzione. Nella parte finale 1315 parole e altri lemmi inediti che portano a 1446 le voci. Come si diceva, significativa la parte fotografica che presenta immagini d’altri tempi, parecchie riferite a Borno, il paese di Goldaniga.D.BEN.

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