Ladro ucciso
a Serle: «Qui
non c’è omertà»

di Giuseppe Spatola
Gli amici di Franzoni che hanno raccolto 530 firme per ribattere all’accusa di vivere in un paese omertoso
Gli amici di Franzoni che hanno raccolto 530 firme per ribattere all’accusa di vivere in un paese omertoso
Gli amici di Franzoni che hanno raccolto 530 firme per ribattere all’accusa di vivere in un paese omertoso
Gli amici di Franzoni che hanno raccolto 530 firme per ribattere all’accusa di vivere in un paese omertoso

Giuseppe Spatola Ai tavoli del Bar Le Rose, otto tornanti da casa di Mirco Franzoni e trentuno chilometri dal Tribunale di Brescia, il silenzio è rotto dai soliti amici. Gli stessi che da quattro anni hanno avviato una raccolta fondi per il sostegno delle spese legali del giovane condannato per omicidio volontario. Nel paese in cui il ladro albanese di 20 anni Eduard Ndoj ha trovato la morte hanno voglia di difendersi. Sì, perchè la condanna di Mirco a nove anni e quattro mesi pesa come un fardello. Tanto quanto l’accusa di «omertà» mossa dal pm Kati Bressanelli spiegando che «in Italia è vietato rubare, ma anche uccidere e che se l’imputato avesse chiamato i carabinieri oggi staremmo celebrando un semplice processo per furto e non uno per omicidio». Solidarietà al giovane condannato («È un bravo ragazzo, da quattro anni si porta dietro un macigno», hanno ribadito al tavolo del bar) e rabbia per chi ha frainteso la consegna al silenzio degli ultimi anni. «Fino ad oggi abbiamo preferito tacere, in fiduciosa attesa del corso della giustizia, ma oggi ci sentiamo in dovere di difendere la dignità del nostro paese - hanno sottolineato i promotori della raccolta firme che in un giorno ha visto 530 persone aderire da ogni frazione del paese -. Evitiamo di addentrarci nel merito della decisione della magistratura non avendo le competenze per farlo, anche se ognuno di noi si è fatto la propria idea circa l’entità della pena inflitta. Ma non possiamo in alcun modo accettare l’etichetta che ci è stata appiccicata, di essere un paese “omertoso”. Riteniamo che le parole che vengono utilizzate in un’aula di tribunale debbano essere attentamente pesate, e dal momento che “omertà” significa rimanere in ostinato silenzio, rispetto a reati di cui si viene a conoscenza, possiamo a testa alta dire che nessun serlese interpellato si sia mai rifiutato di dire la verità, o abbia negato l’evidenza dei fatti. La solidarietà nei confronti di Mirco, che ci viene dal cuore conoscendolo fin dall’infanzia, può essere condivisa o meno, ma di certo non ha nulla di omertoso!».

A RIMARCARE il pensiero della comunità ci ha pensato Gianluigi Zanola, ex sindaco, come portavoce del sentimento comune. «Alcuni articoli di giornale hanno voluto dipingere scenari da “Far West” - ha rimarcato Zanola -, parlando di giustizia fai da te. Nessuno ritiene che la soluzione per combattere i furti sia quella di armarsi di fucile e ammazzare i ladri. Siamo però convinti che la tragedia che si è consumata 4 anni fasia figlia del clima di forte tensione ed esasperazione che si viveva a Serle. Il pm Bressanelli nel corso del dibattimento ha dichiarato che se si fossero chiamati i carabinieri, si sarebbe celebrato un processo per furto e non per omicidio». E qui la sottolineatura di un paese che per mesi è stata vittima di continui raid e, impotente, aveva anche visto nascere «le ronde» malgrado l’amministrazione fosse civicamente di centro-sinistra.

«LA VERITÀ è che non ci sarebbe stato nessun processo - hanno ironizzato al tavolo -, ma semplicemente l’ennesimo furto senza colpevoli che certo, col senno di poi, sarebbe stato meglio di questa tragedia. Da parecchi mesi il nostro paese era sotto “assedio” dei ladri e al di là di quello che può essere il fastidioso danno economico riportato da chi li aveva subiti, ciò che era stata rubata a tutti i serlesi era la tranquillità di sentirsi al sicuro a casa propria». Di più. «In quel periodo - hanno ricordato gli amici di Mirco - avevamo dovuto modificare il nostro stile di vita. In famiglia ci si organizzava per non uscire tutti allo stesso momento e c’era chi passava molte ore della notte a passeggiare sul balcone, chi scattava in piedi ad ogni minimo rumore notturno. Sappiamo di bambini di età scolare che facevano la pipì a letto perché avevano paura ad alzarsi di notte, era persino avvenuto un furto a danno di una coppia di genitori mentre erano al funerale della loro unica figlia. Come si fa a rimanere inermi e ad accettare passivamente tutto ciò?». Una tragedia, quindi, figlia della paura. «Quando anche i carabinieri venivano allertati - si è ricordato - era sempre troppo tardi. Ribadiamo che ammazzare i ladri non può essere la soluzione, ma ricordiamoci che non è stata una scelta di Mirco trovarsi in quella situazione, molto complicata e forse più grande di lui. La sua colpa è stata quella di agire in maniera sbagliata in un contesto di forte carica emotiva, nel quale fermare i ladri per consegnarli alle forze dell’ordine sembrava l’unica strada percorribile per porre fine alla paura che un’intera comunità stava vivendo». Niente «omertà». Solo voglia di risvegliarsi da un incubo divenuto quotidianità.

giuseppe.spatola@bresciaoggi.it

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