Referendum sull’acqua, un paese su 4 lo vuole

Ne sarebbe bastata la metà, ma alla fine addirittura in 50 Comuni bresciani hanno detto «sì» al referendum consultivo sull’acqua. E questo nonostante i tempi stretti della raccolta di adesione abbiano impedito a molti paesi, soprattutto i più piccoli, di esprimersi a sostegno della consultazione popolare, inedita per la nostra provincia. «Abbiamo raggiunto un traguardo per nulla scontato, che ci consente di affrontare con più incisività e con una legittimazione rafforzata i prossimi passaggi decisivi per arrivare al referendum». Mariano Mazzacani del Comitato referendario Brescia Acqua Bene Comune ha presentato ieri, non nascondendo la sua soddisfazione, il risultato di «una battaglia che ha visto di fronte Davide e Golia. Alla fine ben 50 Comuni hanno deliberato a favore dell’iniziativa, per sventare la minaccia che la gestione del servizio idrico integrato sull’intero territorio provinciale finisca definitivamente in mani private».

LA CONSULTAZIONE popolare è praticamente dietro l’angolo. I cittadini potranno esprimersi sulla scelta di affidare la gestione dell’acqua per i prossimi trent’anni ad Acque Bresciane, società mista pubblico-privata, così come deciso a maggioranza dall’assemblea dei sindaci nell’ottobre 2015.

Il quorum di adesioni a sostegno dell’iniziativa - fissato a 25 delibere comunali rappresentanti almeno il 3% dei cittadini aventi diritto al voto di tutta la provincia di Brescia - «è stato superato di slancio. I 50 enti locali che hanno votato a favore rappresentano infatti una popolazione di 250.936 abitanti, quasi il 20% dell’intera provincia». Ora la parola tornerà al Broletto, o meglio alla Commissione provinciale di garanzia, che dovrà pronunciarsi sull’ammissibilità del referendum. «Un passaggio cruciale, dal forte valore politico - ha tenuto a precisare Marco Apostoli del Comitato -. Una sorta di “spada di Damocle“ che si frappone, come ultimo ostacolo, alla chiamata alle urne».

LA COMMISSIONE di garanzia - è stato spiegato dai rappresentanti del Comitato - avrebbe dovuto insediarsi già al momento dell’elezione del Consiglio provinciale, «cosa che invece non è avvenuta, tanto che ancora oggi non è dato sapere chi ne farà parte». In ogni caso, i tempi sono abbastanza definiti: al più tardi entro la fine dell’anno la commissione dovrà esprimersi, con la maggioranza dei tre quarti, «e si potrebbe andare al referendum già nella primavera prossima, accorpandolo alle regionali o alle politiche del 2018», sostiene Apostoli.

La Provincia «non può non tener conto della richiesta dei cittadini di esprimersi sulla gestione degli acquedotti, delle fognature e dei depuratori. Si è finalmente realizzato un passaggio democratico fondamentale. Avremmo potuto raggiungere un risultato ancora più eclatante, ma molti Comuni, soprattutto i più piccoli, non sono riusciti a convocare in tempo utile i consigli. In ogni caso - ha aggiunto Mazzacani -, le adesioni potranno arrivare anche successivamente alla scadenza fissata per oggi. Anche se ciò non avrà valenza formale, ma simbolica e politica».

«Auspichiamo che i cittadini dichiarino nuovamente agli amministratori provinciali quanto già ribadito nel referendum del 2011 - ha aggiunto Francesco Raucci del Comitato -, vale a dire la scelta inopportuna di affidarsi ad un privato, di cui non sappiamo neppure il nome, che verrà scelto attraverso un bando europeo entro la fine del 2018 e che ha come obiettivo la massimizzazione degli utili, in regime di monopolio puro per trent’anni. La nostra è una battaglia politica: non sta a noi trovare la soluzione».

«BRESCIA E MANTOVA sono le uniche due province lombarde ad aver scelto la società mista a partecipazione pubblico-privata - ha aggiunto Fiorenzo Bertocchi -: perchè non si guarda agli esempi virtuosi di chi ha affidato in house la gestione dei servizi? Si parla del necessario intervento di un privato per avere la disponibilità economica che permetta nuovi depuratori e manutenzione sulla rete idrica attuale, ma questo non è vero: nei giorni scorsi la Regione Lombardia ha messo a disposizione ben 20 milioni di euro per il collettore di Nuvolera e la sistemazione della rete idrica in Valsabbia, gestita attualmente da A2a. Anche il pubblico può ottenere i finanziamenti, non solo il privato».

«BISOGNA arrivare al referendum - conclude Mazzacani -: solo così i cittadini potranno avere un dialogo democratico direttamente con l’Amministrazione provinciale, senza passare dai sindaci che hanno votato senza sentire prima il loro parere». Se si arriverà alla consultazione, l’esito appare abbastanza scontato considerato che in occasione del referendum nazionale con percentuali intorno al 95% i cittadini avevano chiesto di mantenere la gestione pubblica del ciclo idrico. La decisione della Provincia di creare Acque Bresciane, società pubblico-privata, a parere del sempre più ampio e trasversale fronte che si oppone al nuovo corso, viene considerato in contrasto con l’esito del referendum nazionale. Sullo sfondo resta il dibattito sulla reale rappresentanza pubblica del modello Acque Bresciane, benedetta nel 2015 da 96 sindaci sui 144 partecipanti all'assemblea. Le oggettive perplessità sono state peraltro sollevate recentemente anche da una voce autorevole e super partes come quella di Saverio Regasto, direttore del dipartimento di Giurisprudenza dell’Università di Brescia: «La governance di Acque Bresciane è mista solo in teoria: se un privato detiene il 49% della società e il restante 51% è polverizzato in 200 soci, è evidente che la componente pubblica non potrà mai avere voce in capitolo nelle scelte».

Suggerimenti