Una mostra racconta il paese del 2050

di Alessandro Gatta
La Gavardo del 2050 immaginata dai progetti raccolti dai ragazzi dell’associazione «Rebus»Il gruppo di lavoro dell’associazione di Gavardo «Rebus»
La Gavardo del 2050 immaginata dai progetti raccolti dai ragazzi dell’associazione «Rebus»Il gruppo di lavoro dell’associazione di Gavardo «Rebus»
La Gavardo del 2050 immaginata dai progetti raccolti dai ragazzi dell’associazione «Rebus»Il gruppo di lavoro dell’associazione di Gavardo «Rebus»
La Gavardo del 2050 immaginata dai progetti raccolti dai ragazzi dell’associazione «Rebus»Il gruppo di lavoro dell’associazione di Gavardo «Rebus»

Dal telegiornale del futuro, edizione terrestre del 10 ottobre 2050: tra una notizia e l’altra, come la finale del campionato universale di calcio tra Terra e Saturno e l’elezione del nuovo capo dello Stato italiano (una ragazza di 19 anni), spicca il dissotterramento della capsula del tempo sepolta al mulino di Gavardo.

Fantascienza, certo, ma con un fondo di verità: perché a Gavardo gli attivisti dell’associazione «Rebus» una capsula l’hanno sepolta davvero.

Giace all’ingresso dello storico mulino: una scatola di metallo in cui sono stati raccolti i sogni, le idee e i progetti dei gavardesi che hanno partecipato all’iniziativa, tra cui tanti bambini.

SUL COPERCHIO una data perentoria: 8 ottobre 2050. Prima di allora non dovrà essere aperta: è questo l’epico finale del progetto Gavardo 2050, portato avanti dall’associazione Rebus e che per tre weekend si è trasformato in una mostra, allestita al mulino con la partecipazione di oltre 400 visitatori.

«Ci abbiamo lavorato a lungo - racconta Riccardo Cavagnini di Rebus - e lo abbiamo fatto coinvolgendo i gavardesi, ci siamo chiesti come potrebbe cambiare la nostra vita nei prossimi 37 anni». La chiamata alle armi ha coinvolto 19 artisti in senso lato (e quindi non solo pittori e scultori ma anche fotografi, architetti, un giardiniere, un parrucchiere, un panettiere, due chef) che si sono cimentati nell’immaginare la Gavardo del futuro. Non troppo lontano, ma nemmeno troppo vicino: dunque libero spazio alla fantasia.

La risposta creativa alle domande che tanti si pongono: cosa mangeremo? Come sarà la nostra piazza? Come saranno i gavardesi? Risposte provocatorie come il piatto tipico a base di lische di pesce e insetti ma pure curiose come lo «Spietkebon», spiedo bresciano tascabile con polenta disidratata e olio polverizzato. Progetti futuristici come la piazza con l’asfalto in pannelli solari, oppure la torre di cristallo che raccoglierà i mattoni e i chiodi di ciò che è stato distrutto dal terribile bombardamento del 1945, ma anche «attuali» come il recupero delle elementari per ospitare un teatro e un orto urbano.

VISIONI apocalittiche: nel fiume Chiese non scorrerà più acqua, e dunque il letto sarà occupato da piazze e strade, campi sportivi, una biblioteca e pure una cittadella scientifica per la ricerca sull’acqua (che sarà sempre di meno).

Storie di vita quotidiana: la pettinatura tutta in blu degli adolescenti di domani (non si pagherà più in denaro, ci saranno i «crediti»), un iPod dotato di riconoscimento facciale che in base all’umore di chi lo usa suonerà la canzone più adatta, una società senza emozioni in cui sarà il Comune ad obbligare la gente ad emozionarsi, «almeno 8 ore al mese», gli alberi che continueranno a crescere ma dovranno nutrirsi dei nostri rifiuti. A proposito di capsule: quella di Gavardo non è la prima nel Bresciano. Nel maggio scorso ci hanno pensato anche i ragazzi delle medie di San Felice: la loro verrà aperta nel 2067.

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