La festa di fine inverno
risvegliava i contadini
già durante il nono secolo

Una immagine aerea della fiera
Una immagine aerea della fiera
Una immagine aerea della fiera
Una immagine aerea della fiera

È una storia antichissima, ultra millenaria quella che si è sedimentata attorno alla celebrazione anche profana dei santi Faustino e Giovita di Sarezzo; la ricorrenza patronale più nota e frequentata dell’intera Valtrompia «oscurata» quest’anno del furto della statua sacra dalla nicchia della chiesa.

In un lungo saggio del 2002 pubblicato sul periodico comunale, lo storico locale Roberto Simoni ne ricordava le origini risalenti al IX secolo a opera del capitolo della Cattedrale e dei Benedettini del monastero bresciano di San Faustino (in città il culto per i santi fratelli risale al IV secolo) che in Valtrompia contavano numerosi possedimenti fondiari, inventori e maestri dell’agricoltura in montagna: a Bovegno gestivano la Pieve con giurisdizione su tutta l’alta valle; all’Alpe Zerma producevano anche lo zafferano.

Particolare non secondario, nella tradizione Faustino e Giovita sono ritenuti originari della Valtrompia. Cappelle e chiese a loro dedicate sono nate a Sarezzo, Pregno, Marmentino, Bovegno e Memmo, e nel Medioevo erano celebrati in due feste: il 15 febbraio, come ancora oggi a Brescia, data del martirio, e il 9 maggio, per commemorare la traslazione nel capoluogo dei loro resti nella chiesa di San Faustino Maggiore. Al contenuto religioso si aggiunse presto il carattere di una grande sagra paesana; momento di incontro per contadini e boscaioli della valle che avevano passato il lungo inverno isolati in cascine e stalle, e che potevano vendere i formaggi prodotti in autunno e stagionati successivamente insieme agli attrezzi agricoli preparati per la primavera.

A METÀ febbraio, quando il Sole iniziava a liberare dalla neve i disagevoli sentieri, «a San Faüstì, al sul sö töcc i dusulì» (a san Faustino il sole su ogni dosso, cita Simoni), arrivava la attesa solennità che a Sarezzo durava già allora più giorni, annunciata dallo scampanio e dalla messa con un solenne panegirico dal pulpito nella parrocchiale a loro dedicata. Coinvolgeva come oggi gli abitanti dell’intera valle con elementi di fatto cambiati di poco: le bancarelle, le grida dei venditori, il gioco d’azzardo dei tre campanelli che nascondevano la posta mossi abilmente quasi sempre a suo favore dell’abile incantatore di turno, il circo equestre atteso dai ragazzi di tutta la valle, gli schiamazzi e la folla, lo zucchero filato, le ciambelle, il croccante alle nocciole, il rito dell’incontro col «moroso» che li offriva, la musica del cantastorie con l’organetto e del «verticale» con la monovella.

Oggi la musica è sparata dagli altoparlanti come in ogni luogo ed evento; allora rendeva la festa indimenticabile. E.BERT.

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