Una pizza a Lumezzane tra ricordi, sogni e realtà

Che gli anni del boom fossero ormai un arrugginito ricordo, lo si era capito da tempo. La Lumezzane che fu, tra officine nel sottoscala, macchinoni a perdita d’occhio, spareggi per la Serie B e industrialotti protagonisti di indimenticabili e folgoranti barzellette (ricordate il famoso pittore Pì Casso? E il nome del figlio Ugo italianizzato in Nuoto?), ha ceduto il posto a una città mancata in perenne crisi di identità. È di qualche settimana fa la notizia che i residenti sono scesi a 22.250, mentre la crisi, lo dicono i dati diffusi ieri da Confartigianato, ha lasciato sul campo, nell’intero distretto, 299 aziende del manifatturiero. Se poi ci si mettono pure pizzerie, osterie e ristoranti ad abbassare le saracinesche e a sparecchiare i tavoli, allora si fa davvero durissima e nerissima. «Com’è bella la città, com’è grande la città, com’è viva la città, com’è allegra la città», cantava Giorgio Gaber. Sì, ma quale città?

Suggerimenti