L'INTERVISTA

Calcio, musica, tivù e radio: Pinelli è pronto per l’Eurovision

di Gian Paolo Laffranchi
Simone Pinelli: nato il 19 maggio 1974, ex portiere, musicista, autore televisivo e conduttore radiofonico
Simone Pinelli: nato il 19 maggio 1974, ex portiere, musicista, autore televisivo e conduttore radiofonico
Simone Pinelli: nato il 19 maggio 1974, ex portiere, musicista, autore televisivo e conduttore radiofonico
Simone Pinelli: nato il 19 maggio 1974, ex portiere, musicista, autore televisivo e conduttore radiofonico

Calcio. Musica. Televisione. Radio. Di solito chi compie un percorso del genere è un ex campione che si reinventa showman, anche se difficilmente completa tutte le tappe. Simone Pinelli è riuscito nell'impresa cominciando fra i dilettanti nel Bresciano. L'autore di «Ballando con le stelle» e di tanti altri programmi Rai, il conduttore di «Serendipity» su Radio2, il musicista che ha firmato il successo di Raf «Superstiti», in principio indossava i guantoni e si lanciava sui piedi degli avversari. «Dal calcio ho imparato il senso del sacrificio, della gavetta, e il coraggio di buttarsi - dice oggi il quarantaseienne di Bovezzo, ormai romano d'adozione -. Ho un ricordo splendido dei miei anni da portiere. Crescere con una mentalità da atleta aiuta anche quando ci si mette a fare cose che non sono sport».

La sua prima squadra?
A Roncadelle, dove ho vissuto fino ai 12 anni. Poi Pavoniana e Nave in Prima categoria. Sono approdato al Quinzano che aveva appena vinto la Coppa Italia, nel 1992. Siamo arrivati terzi e non siamo saliti in D, ma fu un'annata memorabile. La mia ultima da calciatore.

Maestri d'eccezione?
Non dimentico Gheda, allenatore con cui avevo legato subito. E fra i compagni Bergamini e Cedoni, un attaccante pazzesco.

Aneddoti?
Il presidente Arrigoni mi pagò in surgelati: 2 milioni di vecchie lire in carne, pesce e gelati con cui stipai la mia Y10 bianca. A casa ci abbiamo mangiato per una vita.

Perché smise di giocare così presto?
Avevo fatto un provino con il grande Settembrino, che mi aveva bocciato preferendomi per il Brescia Pavarini. Giustamente. A vent'anni suonavo la chitarra nei locali, facevo tardi la sera e pensai che potevo avere più successo così. Non soltanto con le ragazze.

La musica è diventata così la sua seconda vita.
Sì. Dopo aver studiato alla Pastori mi ero appassionato alle canzoni che scrivevo fin da piccolo e mi rivolsi alla Cambiomusica: Golino e Fasolino mi hanno insegnato tanto, ero il loro pupillo insieme a Stefania Martin e ho cominciato a suonare con Cinelli, Ghidelli, Farrington... Grandi maestri.

All'epoca non c'era X Factor.
No. Dovevi farti le ossa in giro. Io cantavo e suonavo negli Impatto con Alessandro Giambelli. Facevamo pop rock, quello che oggi chiamano indie. Abbiamo partecipato a Rock Targato Italia e dai 20 ai 30 anni ho provato ad emergere a livello nazionale collaborando con musicisti come Joe Damiani. Dopo aver preso tante porte in faccia bussai a quella giusta: Simone Papi produceva Raf e la mia proposta gli piacque. Era «Superstiti», è diventata una hit prima in classifica.

A quel punto cos'ha pensato?
Mi son detto che forse era meglio lavorare dietro le quinte.

Anche se nel 2006 ha presentato l'Heineken Jammin' Festival a Imola. Era l'anno di Depeche Mode, Morrissey e Negramaro.
La mia prima volta davanti a una platea così vasta. Un'occasione capitata per caso: avevo iniziato a stare a Roma dal lunedì al giovedì, ma nel weekend prendevo l'aereo, scendevo a Montichiari e il venerdì e il sabato sera facevo il vocalist al Fandango. Un osservatore dell'Heineken mi notò: «Sei forte, ti va di presentare il Festival?». Non gli diedi il tempo di finire la domanda.

Tanto impegno per arrivare a Raf, felice casualità per salire sul palco a Imola. E in televisione com'è arrivato: per caso o per forza di volontà?
Ci sono arrivato sul campo, come sempre: in un modo o nell'altro mi sono conquistato tutto con i fatti, partendo da zero. Ho fatto il road manager per Branduardi, ho appreso i segreti di chitarre e tastiere ma anche imparato a guidare i pulmini. Mi sono sempre dato da fare. A Roma giocavo a calciotto come portiere e con me c'erano Marcolin, Baronio, Favalli, i bresciani della Capitale, oltre a Pancaro e Di Livio. Mi sono introdotto nella città in questo modo. Sono entrato nel giro di Bibi Ballandi perché dopo una partita mi hanno chiesto cosa sapessi fare. «Sono un musicista», ho risposto. «Ti va di venire a Ballando con le Stelle?»

E lei cosa rispose?
«Non so ballare». «Ma non cerchiamo ballerini! Ci serve chi sappia gestire le orchestre». Non avevo idea di cosa volessero, ma dissi sì. E sono ancora qui. Prima come consulente musicale, poi come autore.

Roma è la sua America?
La mia terra delle possibilità, non ci sono dubbi. Qui ho trovato la mia America e anche l'amore: ho una compagna che fa l'avvocato. A Roma mi sento a casa, del resto i caratteri non sono troppo diversi: stessa schiettezza, stessa ironia.

Ha lavorato con tanti big. Gli incontri fondamentali? L'artista con cui si è trovato meglio?
S'impara tanto da assi come De Sica, Pravo e Berté. Milly Carlucci è stata la svolta della mia carriera, le sarò sempre grato. Ma la domanda sul personaggio a cui sono rimasto più legato è un calcio di rigore facile da parare: volevo tanto bene a Fabrizio Frizzi, un fuoriclasse in tutto. Magnifico anche umanamente in un ambiente in cui i simpatici non sono la maggioranza. In diretta Fabrizio era divertente ma istituzionale; fuori onda veniva fuori il suo incredibile talento naturale, la battuta pronta, le imitazioni... A Prati, dove ci si incontra tutti, facevamo sempre la stessa gag: mi vedeva in lontananza e si nascondeva dietro un albero, io facevo lo stesso e man mano ci avvicinavamo fino a trovarci a un palmo di naso l'uno dall'altro; a quel punto il gioco era vedere chi rideva per primo.

LOL prima di LOL.
Sì! Proprio come nel format comico di Amazon.

E chi vinceva?
Di solito perdevo io: come si faceva a non ridere con Fabrizio? Impossibile.

Dalla televisione a Radio2.
Con Gigi Marzullo e Serena Autieri, che mi ha chiesto di condurre «La serendipity» con lei. Ero entrato come autore, e da autore spero di avere un programma radiofonico da condurre per l'estate insieme a Giancarlo De Andreis, mio sodale già a «Ballando con le stelle».

La musica è presente anche in queste sue ultime vite professionali?
Sempre. A «Ballando» c'è un rito: il lunedì mattina bisogna decidere quale brano assegnare alla coppia di turno e noi autori arriviamo con delle proposte, le spieghiamo ballandole anche per essere più convincenti. Di solito Giancarlo è più nazionalpopolare, passa da Baglioni a Mia Martini. Io invece propongo Conte, De André e Milly Carlucci mi dice che sono perfette come «canzoni dietro la porta»: scriviamo i titoli su post-it e li incolliamo lì, «poi semmai le facciamo ballare in trasmissione».

Succede?
Di rado.

Ha seguito il Festival di Sanremo?
Sì. E seguirò i Maneskin all'Eurovision Song Contest che si svolgerà a Rotterdam fra un mese: sono giurato per l'Italia.

La squadra dei Maneskin, la Sony Music Italia, ha come presidente Andrea Rosi. Altro bresciano.
Niente di cui stupirsi: sappiamo conquistarci le cose sul campo.
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