A ispirare gli architetti... Il libro quattrocentesco più bello del mondo

di CHI.CO.
La parte di facciata ispirata a «Hypnerotomachia Poliphili»
La parte di facciata ispirata a «Hypnerotomachia Poliphili»
La parte di facciata ispirata a «Hypnerotomachia Poliphili»
La parte di facciata ispirata a «Hypnerotomachia Poliphili»

Il nome di Andreas Maro compare sulle prime pagine di un libro dal titolo greco quasi impronunciabile: «Hypnerotomachia Poliphili». Un volume quattrocentesco da cui, probabilmente, gli architetti della chiesa presero ispirazione per cesellare la facciata: forse è proprio grazie alla presenza di questo nome bresciano che il libro giunse, da Venezia, fino alla città della leonessa. Un’altra cosa rimasta in forse è sicuramente l’identità del «brixianus» Andrea Marone, firmatario dell’epigramma che apre la pubblicazione aldina. OLTRE AI BREVI versi che introducono a quest’opera, Andreas Maro scrisse anche un panegirico in cui esortava il re francese Luigi XII a sconfiggere i turchi e, tra le altre cose, tre sonetti in volgare bresciano: in questi versi vernacolari si annida la personalità di un uomo estremamente patriottico che vive in un’epoca di acerbe contese e che sentì il bisogno di accendere gli animi del popolo, di far nascere in lui una coscienza critica. In tutti questi testi, giocosi ma anche tremendamente politici, si scaglia contro gli Sforza e Ludovico il Moro in particolare, prima fuggito in Tirolo per sottrarsi ai francesi e poi catturato dagli stessi: «O vet, o vet, o vet o Lodovich: / no le za quest la via danda a Milà» (Dove vai, dove vai, dove vai, o Ludovico: / non è certo questa la via per andare a Milano). Fatto prigioniero a sua volta nella battaglia di Novara del 1500, Andrea compare dieci anni dopo fra i letterati della corte di Ippolito d’Este che, tuttavia, si rifiutò di portarlo con sé nel viaggio in Ungheria: Ariosto, anch’egli allontanato dal cardinale, scrisse per lui dei versi di consolazione nella Satira I. «Fa a mio senno, Maron: tuoi versi getta / con la lira in un cesso, e una arte impara, / se beneficii vuoi, che sia più accetta». Né Ariosto né Marone seguirono poi questo consiglio, ed entrambi ne furono ripagati: Ariosto riuscì a pubblicare l’Orlando Furioso e il nome di Marone divenne immortale, conservato nelle stesse pagine dell’amico romagnolo che lo paragonavano al grandissimo Virgilio.

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