La storia

Alice, a Parigi per portare nelle maison l’arte del mannequinage

di Nicolò Vincenzi
Quarant'anni, collabora con i più grandi marchi e le maggiori maison di tutto il mondo
La veronese Alice Anselmi durante l’allestimento di un manichino
La veronese Alice Anselmi durante l’allestimento di un manichino
La veronese Alice Anselmi durante l’allestimento di un manichino
La veronese Alice Anselmi durante l’allestimento di un manichino

È il dietro le quinte del dietro le quinte, ma senza non si può nemmeno partire. Si chiama mannequinage ed è la disciplina di costruire un corpo, un manichino, che sia perfetto all’abito da esporre. Un lavoro oscuro, ma solo all’apparenza e solo perché non direttamente sotto i riflettori. Alice Anselmi, quarantenne veronese trapiantata da anni a Parigi, dopo un lungo percorso fatto di università (prima Beni culturali a Verona e poi la Iuav a Venezia), stage, ancora studi, approfondimenti e tanto lavoro oggi collabora con i più grandi marchi - le più grandi maison - di tutto il mondo.

Protagonista a Tokyo

Da ultimo, infatti, ha lavorato per la mostra «Christian Dior: Designer of dreams» al Mot, Museum of Contemporary Art di Tokyo, allestita fino al prossimo 28 maggio. Un’esposizione che corona i 75 anni di creatività firmata Dior. «Solitamente», spiega Anselmi, «si prepara un manichino al giorno. A Tokyo ci sono 360 abiti esposti e ci abbiamo lavorato in una decina. Abbiamo lavorato tantissimo, in maniera intensa perché ogni centimetro, di ogni abito, deve rispettare certi canoni e proporzioni».

Alcuni degli abiti del Mot, infatti, non sono mai stati esposti prima di Tokyo, giusto per capirne la portata. Il mestiere di Anselmi è fatto di particolari fondamentali. Di centimetri che segnano dettagli unici. E che l’hanno portata a girare l’Europa e il mondo. «Il manichino», prosegue, «viene scelto dal curatore della mostra e sta a me, e alla squadra, inventare i supporti. Questi vengono realizzati con materiali diversi, ma tutti neutri per la conservazione dell’abito. Facciamo anche sottogonne, maniche, braccia o muscoli che devono sostenere il vestito, ma soprattutto ricreare la silhouette dell’epoca se necessario. Tutte le volte il seno è diverso, la larghezza dei fianchi cambia. Così come la struttura delle spalle. E quindi ogni vestito è una sfida a sé».

 

Ogni abito ha la sua storia... e il suo manichino

Ogni abito ha storie e richieste da soddisfare: «Si prenda, ad esempio, una creazione molto fragile e del 1957 di Dior. Lo si infila nel manichino nudo e crudo e in meno di qualche minuto bisogna capire cosa bisogna fare sulla struttura per far aderire quel vestito. Parliamo di esposizioni che dureranno anche mesi. Allo stesso tempo bisogna valutare la sicurezza e ovviamente valorizzarlo».

Discorso uguale teoricamente, ma completamente diverso nell’atto pratico, se si prendono creazioni di altre maison come Lanvin, Dior, Chloé, Louboutin, Givenchy con cui Anselmi, freelance, collabora. «È un lavoro manuale perché spesso è con l’ago in mano, ma si può usare anche il filo di chitarra, l’ovatta, collant usati come pelle. Diciamo che si impiegano tantissimi materiali, alcuni legati alla sartoria ma non solo», precisa.

Ricreare i corpi di Grace Kelly, Elizabeth Taylor, Audrey Hepburn e Jackie Kennedy, d’altra parte, è arte di pochi. E di certo necessita di ingegno (quello italiano che all’estero non guasta mai), intuito e dedizione. Una passione, quella di Alice Anselmi, iniziata tra le mura di casa. Il papà di Alice è l’architetto e scultore Gabriello Anselmi, mentre la famiglia della mamma, Michela Braunizer, ha una lunga tradizione legata al mondo della sartoria. Tutto il resto è storia ancora da scrivere, disegnare e inventare. 

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