Brachetti, l’arte magica di incantare ogni volta

L’energia:  Arturo Brachetti
L’energia: Arturo Brachetti
L’energia:  Arturo Brachetti
L’energia: Arturo Brachetti

Vivere 100 vite in 90 minuti: si può. Trattasi di un’iperbole, figura retorica che indica un’esagerazione. Per essere precisi, più o meno, Arturo Brachetti da «Solo» ne impersonifica oltre 60, in uno spettacolo schizofrenico e camaleontico che rapisce la platea di un Gran Teatro Morato da quasi tutto esaurito. Ciuffo sparato all’insù e sorriso su un faccione che campeggia sullo schermo, con un tono a tratti inquietante, Brachetti vuole a tutti i costi stupire: l’incredibile Hulk dell’incipit si trasforma in men che non si dica in uno dei rapinatori di «La casa di carta», che sulle note di «Bella ciao» si trasforma a sua volta nell’alieno Spock di Star Treck. Non si fa in tempo a metabolizzare che, sul palco, arrivano prima Batman e poi Jessica Fletcher, in uno spettacolo di mute trasformazioni che non dà il tempo di pensare. Il nesso tra la protagonista dei gialli, Wonder Woman e un bagnino qualunque della serie Baywatch, ci piace pensare a Mitch Buchannon, effettivamente non esiste: «Solo. The legend of quick change» è uno spettacolo fondato sul no-sense e su una scansione musicale che, invece, tutto sommato un senso ce l’ha, se le note de «Famiglia Addams» (rappresentato dallo zio Fester, e chi se no?) trasportano lo spettatore prima a quelle dello straordinario Sherlock della BBC, per poi proseguire sulla scia sci-fi con Ghostbusters. Lo spettacolo di Arturo Brachetti sta in una zona indistinta tra cabaret e illusionismo, con una tendenza al secondo, visto che, più che ridere a crepapelle, tra il pubblico serpeggia un senso di incredulità traducibile a parole con un «Ma come fa?». Sensazione che ci accompagna durante la parentesi disneyana tra Peter Pan, Aladdin sul tappeto volante, Star Wars, la «cipolla» di Frozen con un’istantanea trasformazione da smeraldo a panna, e una Biancaneve che sfida la bellezza della malvagia regina servendosi della chirurgia estetica, e spezza la poesia fuggendo da escrementi di piccione. Il riposo di Arturo è fatto di ombre su tela, prima che l’artista torinese risucchi il pubblico nel suo vortice di costumi. Con un ritornello: la casa, dove ci sentiamo tranquilli nei nostri panni. Anche Arturo il trasformista. Vincenzo Spinoso

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