Domenico Ghidoni La scultura che resiste

Alla Brescia a cavallo fra ’800 e ’900 non mancarono anche illustri scultori. Il più importante in questa categoria di artisti fu Domenico Ghidoni, autore delle opere scultoree che ancora consumano la propria esistenza di pietra nelle piazze e nei musei lombardi. Sua l’anima pietrificata del Moretto, che squadra dall’alto il visitatore che si appresta a varcare la soglia della pinacoteca Tosio-Martinengo. Suo il gruppo degli Emigranti, madre e figlia abbandonate all’attesa su una panchina gremita di bagagli dalla bronzea pesantezza. Suo il bellissimo monumento Podreider che continua, imperioso all’interno del Cimitero Monumentale di Milano, a farsi guardare: Gesù, irto su una candida scalinata, è colto nell’atto di scacciare un profanatore dal tempio. Sua la languida Maddalena Monge Grün che, collocata anch’essa al Monumentale di Milano, pare ascendere al cielo avvolta dai veli della propria veste leggera; suo il gruppo titolato Le nostre schiave, raffigurante delle prostitute sedute su un divanetto in attesa dei clienti, che posero fine alle prestigiose committenze dell’artista. Il tema, ritenuto scabroso e sconveniente, gli procurò l’allontanamento dalla Veneranda Fabbrica del Duomo e l’esclusione dall’imminente Esposizione di Venezia. Il Ghidoni, dopo averla esposta in una galleria che sarebbe stata sul passaggio obbligato dei sovrani in visita alle Esposizioni Riunite di Milano del 1894, distrusse l’opera. Essa sopravvive solo nei riflessi sbiaditi e pieni di nostalgia delle fotografie d’epoca e in qualche sparuto frammento scampato alla furia dell’artista. Ma un’altra delle sue opere è avvolta da un mistero sicuramente più grande: nessuno sa dove si trovi La Vittoria risalente al 1919, dal capo orgogliosamente sollevato e cinto da un elmo svettante su un corpo superbamente fiero della propria nudità. Chi.Co.

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