L’apocalisse moderna? Sarà un black out totale

Don DeLillo
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«Non so con quali armi si combatterà la Terza guerra mondiale, ma la Quarta si combatterà con pietre e bastoni». Lo scrittore americano Don DeLillo, teorico del postmodernismo, antepone a Il silenzio (Einaudi, 14 euro), il suo diciottesimo lavoro uscito a novembre negli Usa e da poche settimane in Italia nella splendida traduzione di Federica Aceto, un’assai paradigmatica frase di Albert Einstein. Un chiaro segnale d’allarme prima dell’inizio della narrazione… La vicenda si svolge a New York nel 2022 nell’imminenza del Super Bowl, la finale del campionato di football americano, evento che catalizza annualmente in maniera quasi ossessiva l’attenzione dell’intera nazione e che vede incollati ai vari media oltre 100 milioni di americani, anche per la presenza di accattivanti e costosi spot pubblicitari creati ad hoc (quest’anno vi ha esordito addirittura Bruce Springsteen), concerti ed eventi. Qui si respira la vita, la felicità e, forse, anche la libertà di questo Paese. Jim Kripps, un pensionato di Manhattan e la moglie Tessa Berens, una poetessa, sono in un volo di ritorno da Parigi e manca poco all’atterraggio. In città, in un appartamento nell’East Side, li aspettano tre loro amici: la professoressa di fisica Diane Lucas, da poco in pensione, il marito Max Stender, amante di scommesse sportive, e Martin, ex studente della prima e grande visionario) per assistere all’incontro fra i Titans e i Seahawk in analogia a chissà quanti altri milioni di nuclei di tifosi. Insomma, «Si parla, si ascolta, si mangia, si beve, si guarda»: scene di assoluta, ordinaria, normalità. Improvvisamente, misteriosissimo, arriva ovunque il silenzio assoluto. Tutta la tecnologia digitale ammutolisce. Internet scompare. Gli schermi che li attorniano diventano neri, i tweet, i post, i bot non servono più a niente: «On, off, on. Controllo il cellulare. Vado anche dove c’era il telefono fisso, un cimelio sentimentale. Nessun segnale. Il computer portatile: privo di vita. Gli elementi dell’altro: spenti. Il frigorifero e il riscaldamento, andati. Tutte le persone a guardare l’incontro, come noi, seduti e perplessi, abbandonati dalla scienza, dalla tecnologia e dalla logica comune». Anche sull’aereo in cui viaggiano gli altri due protagonisti saltano tutti i dispositivi ma il comandante, data la prossimità della meta, decide per un immediato atterraggio di fortuna che riuscirà tutto sommato positivamente, pur con vittime, danni e feriti (fra cui lo stesso Jim). Avrà così inizio un incredibile viaggio della coppia in una città estraniata, attraverso metropolitane bloccate, uffici evacuati, vetrine barricate. E accanto a chi è in cerca di candele e cibo c’è chi fa jogging. «Quello che è successo ha messo fuori uso la nostra tecnologia. La parola stessa mi pare obsoleta, persa nello spazio. Dov’è la fede nell’autorità dei nostri device sicuri, delle nostre capacità di criptaggio? Cosa succederà alle persone che vivono dentro il loro telefono?». Ovviamente viene alla mente La strada del grande Cormac McCarthy (ancora oggi senza Nobel) ma non tanto per l’apocalisse di una natura ridotta a un involucro asciutto o la drammaticità del plot ma soprattutto per la tenerezza degli estraniati protagonisti (anche in quel caso una coppia, padre e figlio). Alla fine, comunque, ottenute le cure, Jim e Tessa riescono, fra mille ostacoli, a raggiungere la casa degli amici. Inizia qui la seconda parte del libro che però cambia registro, lasciando l’itinerario iniziale per trasformarsi in una sorta di pièce teatrale che vede impegnati i cinque protagonisti in una discussione sregolata sulle ragioni dell’accaduto. Un incidente o il collasso della tecnologia su sé stessa, sotto il proprio mastodontico peso? L’apparizione di una piega dello spazio o del tempo verso cui le nostre vite scivolano inesorabilmente? DeLillo, che ha consegnato il testo prima dell’inizio dei fatti di Wuhan, non offre soluzioni consolatorie verso «quell’impatto nero che sembrava la voce di Dio in persona». •.

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