La Primavera di Galván è un trionfo del ritmo

di Luigi Fertonani

Il ritmo particolare, subito riconoscibile per la sua geniale irregolarità, è alla base della Sagra della Primavera di Igor Stravinskij e lo spettacolo al Grande, con Israel Galván per la «Consagración de la Primavera», ne è poderosa conferma. A un lato della scena si affrontano due pianoforti a coda, con Andrea Rebaudengo e Valentina Messa, poi entra Galván: ha disseminato la scena di piccole pedane, assi, tamburelli baschi e tamburi a cornice che faranno da ulteriore cassa armonica al ritmo incalzante dei suoi piedi calzati e chiodati, per rendere il più possibile udibili i suoi effetti sonori. Galván segue con i suoi ritmi – con effetti ora morbidi ora addirittura stridenti – tutti gli accenti della celebre partitura con effetti di parossistico «potenziamento» di un percorso che, partendo dall’assolo iniziale del fagotto, raggiungerà toni quasi orgiastici nella Danza dell’Eletta. Il danzatore non usa gli strumenti a terra con le mani ma con i piedi. Danza nella danza: è in eterno movimento, sottolineando il contrasto fra la sua instancabile mobilità e la necessaria staticità dei due pianoforti, che hanno offerto uno spettacolo strepitoso. Dopo la Sonata di Scarlatti e un brano di Bartòk, arriva una Sevillana del ’700 in cui Galván, nello spazio lasciato tra le code dei due pianoforti, sembra voler evocare una «riconciliazione» col suo genere prediletto, il flamenco. Galván piega la sua gestualità a un’espressività particolare, ma rimane sempre uno straordinario ed entusiasta danzatore di flamenco. Velocissimi ritmi fanno risuonare le tavole del palco, suscitando l’entusiasmo di un pubblico giustamente caloroso. •.

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