LA VITA CHE VA OLTRE IL VIRUS

Claudia Guerrini: l’autrice di «12 marzo», impiegata nella sanità, si concentra nelle sue pagine sul periodo compreso fra il 12 marzo e il 18 maggio 2020La copertina della pubblicazione edita da MarcoSerraTarantolaEditore
Claudia Guerrini: l’autrice di «12 marzo», impiegata nella sanità, si concentra nelle sue pagine sul periodo compreso fra il 12 marzo e il 18 maggio 2020La copertina della pubblicazione edita da MarcoSerraTarantolaEditore
Claudia Guerrini: l’autrice di «12 marzo», impiegata nella sanità, si concentra nelle sue pagine sul periodo compreso fra il 12 marzo e il 18 maggio 2020La copertina della pubblicazione edita da MarcoSerraTarantolaEditore
Claudia Guerrini: l’autrice di «12 marzo», impiegata nella sanità, si concentra nelle sue pagine sul periodo compreso fra il 12 marzo e il 18 maggio 2020La copertina della pubblicazione edita da MarcoSerraTarantolaEditore

«Ultimo giro, (s)offro io», sospira il barman empatico agli afflitti e affezionati avventori alcolemici. Nella giostra-roulette del «12 marzo», a dirlo siamo noi. Mentalmente, soli, come Claudia Guerrini ci ha voluti per 176 pagine di diario, entro com-partecipazione al patimento pandemico e prossemico - così simile a un apocalittico shottino. È universale. È personale, soprattutto, perché la scrittrice bresciana - classe '86, un impiego nella sanità e la passione per il teatro - interseca eventi intimissimi al Covid-bollettino. Il taccuino copre quei terribili tre mesi di emergenza profonda, dal 12 marzo al 18 maggio 2020, puntando le lancette alle 6,25 nella para-fantozziana routine «sveglia. Caffè. Sigaretta». Il califfato interiore mano a mano cigola sotto la pressione isterica delle avversità: più che piccole sciagure, premesse di rivoluzione individuale; il virus, intanto, fa da interpunzione al panico, da beffa nella cronicità della salita ansante, mai è protagonista: traveste, si profuma, s'atteggia... ma rimane pitocco e pestilente «come una fuga di gas, i cui effluvi e vapori mortali si insinuano in ogni pertugio o fessura, silenziosi, innocui all’apparenza, letali». Vince la vita, una vite rampicante che incornicia il sorriso di Guerrini e il suo letto, dove gronda giuramenti e glicemie, dove dorme «a ics». Mentre silurano mascherine, dati di contagio, l'io narrante spiega come può deragliare un matrimonio imbastito di fresco. Alza le mani davanti alle continue rapine del diabete. Stringe le spalle nel dismorfismo corporeo. Infine, spalanca tutta la ferita - isolamento, inerzia, insostenibilità -, la arreda. «E ti sembra di rimanere sempre ferma allo stesso punto, girando su te stessa, come la ballerina di un carillon, ma senza quella dolce musica di sottofondo, che fa da ninna nanna alle piccole principesse che la ascoltano». L'altra sé, lasciata la sponda del pirlo, dei viaggi, l'abbocco sul «punto di salatura dello spiedo» e il tacco 12, dalla riva opposta lamenta. Poche cose, assieme alla zazzera della nipotina Marta («la mia acciughina, il mio dono»), al proscenio («il mio spazio, la mia boccata d’ossigeno, lo spiraglio di luce»), possono rimetterla in moto. Covid, dalle quinte, distende un artiglio e semplifica il canovaccio, rendendo chiara la lista delle priorità, la monumentalità delle piccole cose. Beltade prêt-à-porter, immantinente: «Ho preso consapevolezza che, pur con migliaia di difetti, io sono bella. Sono bella perché sono così, immutabile, difettata, malata, con le gambe storte, l’occhio destro che va leggermente fuori asse quando sono stanca, il mio carattere terribile, ma con un cuore enorme e la voglia di ridere».•. © RIPRODUZIONE RISERVATA

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