MANERBA, LA ROCCA È UN NIDO DI FALCO

di Chiara Comensoli
La riserva naturale  della Rocca, del Sasso e del Parco Lacuale di Manerba nasce nel 2016 e comprende un territorio di 1.160.000 metri quadrati e un areale lacustre di 850.000 metri quadrati
La riserva naturale della Rocca, del Sasso e del Parco Lacuale di Manerba nasce nel 2016 e comprende un territorio di 1.160.000 metri quadrati e un areale lacustre di 850.000 metri quadrati
La riserva naturale  della Rocca, del Sasso e del Parco Lacuale di Manerba nasce nel 2016 e comprende un territorio di 1.160.000 metri quadrati e un areale lacustre di 850.000 metri quadrati
La riserva naturale della Rocca, del Sasso e del Parco Lacuale di Manerba nasce nel 2016 e comprende un territorio di 1.160.000 metri quadrati e un areale lacustre di 850.000 metri quadrati

È azzurro a perdita d’occhio, di un azzurro in sussulto a causa dello sbuffo del vento che sembra voler realizzare uno specchio celeste in vetro soffiato. Poi è verde: il blu denso squagliato dal sole cede il passo ad una massa muschiosa cucita alla costa, irremovibilmente attaccata alle estremità di un panorama scolpito dalla sua stessa fattrice. Infine è il giallo, che brucia le grandi pezze di campi rasi subito dietro alla cinta verde che si accalca lungo gli strapiombi. Questa la tavolozza di colori che zampilla ai piedi della Rocca di Manerba del Garda, un grande nido di falco posto in cima ad un pendio preso d’assalto da un bosco intento a guadagnarne la sommità. Della Rocca, le cui mura più antiche risalgono al IX-X secolo, restano le fondamenta labirintiche e uno dei più straordinari punti panoramici del lago. All’ombra del folto della vegetazione che accerchia il pendio si snodano i sentieri della riserva naturale della Rocca e del Sasso. Su questo tratto di costa si è insediato un ecosistema museale che vive attraverso il Museo Civico Archeologico della Valtenesi; il Parco Lacuale, primo in Italia a promuovere lo studio e la tutela dell’ambiente lacustre; i siti palafitticoli preistorici, i più importanti del Paese, iscritti dal 2011 nella Lista del Patrimonio Mondiale dell’Unesco. Emergono dall’acqua, come creature marine dal dorso irsuto, due isole affascinanti, distaccamenti terrestri della solitudine e della contemplazione: l’Isola del Garda, figlia dei flutti ma parte del comune di San Felice del Benaco, e l’Isola di San Biagio, anche nota come Isola dei Conigli. Sulla prima, la più grande del bacino lacustre, camminarono personaggi come Francesco d’Assisi, che vide nella pace dell’isola un luogo perfetto per ospitare un rifugio eremitico, e Dante Alighieri. Il Sommo Poeta le dedicò una terzina della Commedia: «Loco è nel mezzo là dove ‘l trentino/ pastore e quel di Brescia e ‘l veronese/ segnar poria, s’e’ fesse quel cammino». Oggi questa dolce zolla di terra dal potere evocativo, passata tra le mani del doge di Genova, ha assunto ironicamente le sembianze di una piazza San Marco inselvatichita: al centro emerge, dalla coltre verde o dalla pallida foschia, un ottocentesco palazzo neogotico-veneziano, simile alla dimora ducale del capoluogo lagunare. L’Isola dei Conigli resta fuori dal club delle Repubbliche Marinare, rappresentando invece la Mont Saint-Michel della provincia bresciana: in un certo periodo dell’anno le acque che la circondano lasciano incustodita una lingua di fondale collegata con la terraferma, consentendo ai turisti di visitarla senza imbarcarsi su un traghetto. Conigli e sub trovano qui l’eldorado: gli uni scorrazzando numerosi in libertà fra cespugli fioriti, cipressi e prati, gli altri dirigendosi allo Scoglio dell’Altare. Le sue viscere giungono fino ai 150 metri di profondità, dove vivono colonie di spugne gialle e grotte danno riparo a grossi esemplari di pesce persico reale, anguille e lucci. Se, calando nella depressione d’acqua, troviamo un cono oscuro degno dell’Inferno dantesco, tornando a galla, ad indicare l’abisso come un segna posto, c’è lo Scoglio dell’Altare: deve il nome alla celebrazione sacra in onore di San Pietro che si teneva una volta l’anno per i pescatori accorsi da ogni angolo del lago. Lo scoglio è una porta per l’inferno ma anche per il paradiso, di cui San Pietro possiede la chiave. Manerba è un luogo di confine: fra abisso ed empireo, fra natura e urbanizzazione, a metà strada fra il desiderio di pace eremitica di San Francesco e la brama d’immortalità dell’Alighieri. Un luogo in cui l’uomo ha da sempre tentato di insediarsi, ma che ha incessantemente goduto del rispetto per la forza prorompente della sua naturalità selvaggia. Forse è per questo che il centro vero e proprio di Manerba non esiste: la sua struttura segue quella scomposta della natura disponendosi sotto forma di un comune-sparso diviso in 7 frazioni. Il suo stesso appellativo può derivare dal nome della dea Minerva, protettrice degli ulivi che qui abbondano, ma può provenire dal gallico «mon» (uomo d’armi) unito ad «erb» (zona militare). Anime discordi ma conviventi di un luogo in cui la fortezza difensiva inerpicata sul promontorio è diventata, sublimata dal tempo, un nido di falco da cui si può fruire di un panorama vertiginoso.•. © RIPRODUZIONE RISERVATA

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