Maria Teresa Giaveri

Maria Teresa GiaveriLa copertina del libro edito da Neri Pozza
Maria Teresa GiaveriLa copertina del libro edito da Neri Pozza
Maria Teresa GiaveriLa copertina del libro edito da Neri Pozza
Maria Teresa GiaveriLa copertina del libro edito da Neri Pozza

Una dama inglese intelligente e coraggiosa che all’inizio del Settecento, durante il suo soggiorno in Turchia, viene a conoscenza dell’inoculazione, pratica diffusa tra le contadine sul confine settentrionale della Grecia per immunizzarsi dal vaiolo infettandosi preventivamente. E il suo ruolo essenziale nella diffusione di questa idea, in Europa e poi nel mondo intero. Una storia di estrema attualità in questi mesi di pandemia in cui la ricerca dei vaccini sta diventando il primo obiettivo strategico di tutti gli Stati, ritardi nelle produzioni e nelle consegne, polemiche no-vax e mercati paralleli. Parla proprio di questa grande donna, che visse anche alcuni anni nel Bresciano, tra la città, Gottolengo e il lago d’Iseo, Lady Montagu e il dragomanno – Viaggio avventuroso alle origini dei vaccini (Neri Pozza, 2021), un libro accattivante da leggere tutto d’un fiato, complici il garbo e l’eleganza della sua autrice, la giornalista e accademica Maria Teresa Giaveri. Che ci aiuta a riscoprire il coraggio, ancora una volta tutto femminile, di combattere per un’idea destinata a rivelarsi rivoluzionaria. Maria Teresa Giaveri, lei ricorda ai suoi lettori che questo è un libro di avventura e di viaggi, nel tempo e nello spazio, che inizia nel 1716. L’idea protagonista della narrazione giunge dall’Oriente nel Settecento, con l’epidemia di vaiolo a Costantinopoli, quando una nobile famiglia greca ha notizia di una pratica rurale che sembra prevenire il contagio.Nel frattempo a Londra si decide la nomina dell’ambasciatore in Turchia, la cui moglie, Lady Mary Wortley Montagu, racconterà in lettere briose e precise il viaggio attraverso l’Europa centrale, con tappa nelle capitali dove il sovrano turco ama soggiornare, ed esotiche incursioni nei luoghi favoleggiati dall’immaginario erotico dell’Occidente: gli hammam, i giardini riservati, le proibite residenze femminili. Ad accompagnarla nel mondo cosmopolita delle ambasciate c’è il suo primo dragomanno, traduttore e medico che la introduce alle lingue e ai saperi locali, Emanuel Timoni. È così che la protagonista viene a conoscenza di quell’innovativa pratica medica. Lei è stata professoressa ordinaria di letteratura francese e di letterature comparate. Come è nata dunque l’idea di indagare su una svolta cruciale nel mondo della medicina? Sono stata incuriosita dalla vicenda di Mary Wortley Montagu quando diversi anni fa un collega mi parlò delle polemiche pro e contro l’inoculazione e della scelta estremamente equilibrata di Maria Teresa d’Austria. E dopo aver letto le lettere di Lady Montagu, durante un convegno a Edimburgo ho trovato molto materiale su Charles Maitland, il medico di famiglia dei Wortley, che la dama si era portata a Costantinopoli. Il suo atteggiamento verso questa pratica dubitosa che era l’inoculazione, cui lui assistette e che praticò alla figlia della nobildonna al ritorno dalla Turchia, cambiò radicalmente dopo il successo ottenuto persino nella famiglia reale), al punto da scriverne abbondantemente e con grande orgoglio. Quando è scoppiata la polemica vax-no vax, mi è sembrata identica a quella relativa all’inoculazione, che era durata quasi un secolo: e ho cominciato il libro. Questo metodo di prevenzione susciterà dibattiti e polemiche lunghe decenni, che, ci ricorda, coinvolgeranno “illuministi francesi e inquisitori bostoniani, accademici altezzosi e oscuri medici, grandi sovrani e matematici stregati dal calcolo delle probabilità”. Attraverso Lady Montagu ho fatto tappa nei vari paesi in cui è arrivata questa informazione. Tra questi l’Italia, dove la scoperta arrivò un po’ qua e un po’ là, diffondendosi innanzitutto in Toscana e a Livorno, dove c’era un nucleo importante di commercianti inglesi residenti subito propensi a far inoculare i figli. E in realtà la prima formalizzazione della pratica si doveva proprio a due medici italiani, condiscepoli all’Università di Padova: Giacomo Pilarino ed Emanuel Timoni, che, a inizio secolo, avevano cercato invano di farla conoscere tramite la Royal Society. Se il mondo inglese, e in parte americano, adottò rapidamente la pratica, come pure molti stati europei, in Francia, nonostante l’entusiasmo di Voltaire, fu accolta con sospetto e poi dimenticata. Fino allo shock del 1774, quando Luigi XV morì per vaiolo. “Un esperimento praticato da donne ignoranti”: venne accolta con queste parole la proposta di Lady Montagu di praticare l’inoculazione. Eravamo a Londra, nel 1721. In quegli anni la società stava iniziando la sua trasformazione, con l’avvento dell’Illuminismo, ma le donne erano ancora confinate nelle case, e nei ruoli di mogli e madri, non certo protagoniste. L’inoculazione è una pratica inventata da donne contadine e analfabete, che è stata portata avanti da donne, propagandata da donne, e che ha finito col ricevere addirittura l’approvazione reale grazie alla principessa del Galles, amica di Mary. Ecco perché ho voluto sottolineare come la grande svolta della medicina che avvenne negli ultimi anni del ‘700 e fu poi formalizzata a inizio ‘800 sia dovuta, de facto, a donne. Che a quei tempi venivano trattenute nel loro desiderio di sapere, considerate non adatte o non all’altezza di fare studi regolari. Eppure alla fine a questi risultati ci sono arrivate proprio loro. Lady Montagu era una signora brillante e un’acuta osservatrice: per lei la cultura era un autentico piacere. Ma non poteva esibire la sua intelligenza, come aveva decretato l’Università di Bologna: «una donna non poteva essere dottore». Lei ha concluso la stesura del libro durante il lockdown del 2020, e proprio nel periodo storico in cui si stava cercando di trovare un vaccino contro il coronavirus. Sì, ho concluso con una nota: «Stiamo vivendo un’esperienza che nessuno di noi si sarebbe aspettato: chiusi in casa, sospettosi di ogni contatto. Il viaggio sulle tracce di Lady Montagu è stato per me l’occasione di respirare contemplando paesaggi lontani, rischiarati da quella che Giuseppe Parini definiva “una lunga speranza”. Siamo in attesa che una nuova, lunga speranza giunga anche a noi».•.

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