Sarasso e l’altra America
«Cent’anni» di crimine

di Alessandra Tonizzo
Simone Sarasso
Simone Sarasso
Simone Sarasso
Simone Sarasso

Vino, olio, pasta. Il nostro biglietto da visita oltreoceano è edibile. Come il brodo in cui si ripuliscono i dollari sporchi della spa criminale. Anche questa salus per arma è Cosa Nostra, «prodotto italiano d'esportazione che ha avuto il maggior successo nel nuovo continente».

Lo dice così. Con il pragmatismo di Lucarelli e la (sobria) teatralità di Buffa. Ma Simone Sarasso su questo tema non scherza. Anzi, ci va giù pesante: il carico di nove tomi, quasi un’enciclopedia. «Cent’anni» è il titolo della lunga saga dello scrittore vercellese, classe ’78, autore di storie nere per la narrativa e insegnante di scrittura creativa alla Naba di Milano.

Le vicende della mafia americana sono il soggetto, sceneggiato in un arco temporale decisivo (1901-2001), «il periodo di maggiore evoluzione delle dinamiche del crimine organizzato».

L’idea nasce lontano, dall’amore viscerale per una città e dalla devozione per penne come quella di Don Winslow. «Da dove vengo io» è il principio, il capitolo 1. Che verrà presentato stasera, alle 18, alla libreria Feltrinelli di corso Zanardelli.

Ciò che James Ellroy ha fatto con Los Angeles Sarasso lo sta facendo con New York, fulcro della narrazione. «Lì successe qualcosa che non era mai esistito – racconta -. La nuova generazione di criminali, fatta di immigrati, da Italia e Polonia soprattutto, instaurò collaborazioni interraziali. Nel ghettizzato Lower East Side, Charlie Luciano e Frank Costello svilupparono una cooperazione imprenditoriale con il Sindacato ebraico, capitanato da Meyer Lansky e Bugsy Siegel».

L’AUTORE ha studiato la Grande Mela, sul campo e sui libri, partendo dagli scenari anni Venti stenografati da David Wallace e proseguendo con saggistica specializzata. «Tuttavia mi sono accorto che, mentre il cinema, da C’era una volta in America in poi, si è occupato dell’argomento, gli storici non hanno elaborato una trattazione puntuale su questi quattro che vollero farsi re».

Così ci ha pensato lui, accorpando alla verità (monografie e giornali d’epoca intervallano lo scritto) giusto un pizzico di invenzione. «Ma non dichiarerò mai dove sta quell’uno percento fantasioso. Il lettore più acuto, volendo, riesce a scoprirlo da sé».

L’odissea marchiata Usa seguirà due archi narrativi. Il primo (3 o 4 volumi, il secondo è già terminato) pedìna il noto quartetto, mentre il secondo esaurirà il filone sulle cinque famiglie malavitose degli anni Settanta, «strette attorno alla figura di John Gotti. È l’esegesi della nuova mafia, la nascita della criminalità nera e ispanica che si forma dalla caduta del Muro in poi».

Il cuore di «Cent’anni» pompa sangue torbido, dalla vena oscura del sogno americano. Che è un po’ la fissa di Sarasso, affezionato al corrompente buio del potere: «Si dice che ogni scrittore racconti sempre la stessa storia», confessa. Tra la Trilogia sporca dell’Italia e la figura di Costantino, l’autore indaga da un decennio le derive di un riscatto sociale in nome del quale si è pronti a tutto. «Anche a rinnegare la lingua d’origine, i propri predecessori. Chiamati spregiativamente Moustache Pete per via dei baffoni che, insieme alla barba, verranno vietati dai visi dei nuovi gangster con l’ideale dell’americano radicale. Giovani che sono finiti dritti nel gorgo della deviazione capitalistica: dimostrare l’autorità a colpi di denaro, e di rivoltella».

Da quattro ragazzi venuti dai bassifondi si sarebbe aspettato tutto fuorché una forza capace di influenzare persino le presidenziali. Invece. È il mito incarnato del self-made man, che abbandona la retta via. L’autore protocolla e non giudica. Da bravo storico guarda i fatti e li registra. Come fa con Brescia: «Mi piace, ma non la conosco bene. Mi ci fermerei un po’ di più, per riscoprirla città con la “c” maiuscola. Sentirne il respiro».

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