I NODI DEL LAVORO

All'azienda Italia servono riforme

di Antonio Troise

Ci sono numeri che valgono più di mille parole. E, soprattutto, fotografano impietosamente i paradossi della nostra economia. Scoprire, ad esempio, che le aziende, in media, non trovano sul mercato circa il 50% dei profili professionali ricercati, stride con la realtà di un Paese dove, su 37 milioni di persone in età di lavoro, ne risultano occupate poco più di 23. Circa 7 milioni in meno della Francia, giusto per restare in un Paese vicino, che ha più o meno la stessa popolazione. C’è poco da fare, il mercato del lavoro continua a non funzionare. Anzi, negli ultimi anni, si è letteralmente spaccato in due: da una parte quello con le qualifiche medio-basse, ancora numeroso, ma sempre più alle prese con contratti precari o con le inevitabili difficoltà di collocamento. Dall’altra, invece, le professioni in linea con la crescente digitalizzazione dei processi produttivi e con la rivoluzione industriale cosiddetta 4.0, dove la situazione è diametralmente opposta: qui fioccano le offerte (anche con retribuzioni interessanti), ma sul mercato non si trovano professionisti in grado di intercettarle. Mancano ingegneri, informatici, tecnici della distribuzione commerciale, professionisti delle attività turistiche, giusto per fare qualche esempio. Ma l’elenco è molto più lungo. Scontiamo, oggi, decenni di ritardi sul fronte delle cosiddette «politiche attive» del lavoro, che avrebbero dovuto far incontrare domanda e offerta.
Da questo punto di vista l’esperienza del reddito di cittadinanza è stata fallimentare. Ma, prima ancora, scontiamo l’inadeguatezza dei percorsi formativi messi in campo dalle nostre strutture scolastiche e universitarie. Un dato per tutti: nel 2018 l’Italia contava appena novemila studenti impegnati in percorsi di formazione curati dagli Istituti tecnici superiori (Its). Meno di un centesimo rispetto alla Germania. Senza considerare, poi, altri due aspetti. In primo luogo, la proliferazione dei contratti «precari», con scarsi livelli retributivi, incompatibili con ogni politica formativa o di crescita professionale. Secondo, una politica migratoria che non ha portato alcuna selezione negli ingressi di lavoratori qualificati, come è avvenuto invece in altri Paesi. Il risultato è quello che, periodicamente, registra Unioncamere, con un tasso di occupazione che potrebbe avere crescita imponente se solo ci fosse un mercato del lavoro più moderno e, soprattutto, attrezzato per fare fronte alle sfide e ai cambiamenti in atto nella nostra economia. Da questo punto di vista il miliardo e mezzo stanziato grazie al Pnrr per la riforma degli Its può segnare un primo segnale. Ma è necessario ripensare in profondità le nostre politiche per il lavoro, superando steccati e tabù e guardano alle dinamiche della produzione. Sapendo fin d’ora che se non si cambia passo, portando molti più italiani nell’esercito degli occupati, non solo ci saranno crescenti difficoltà a pagare le pensioni, ma difficilmentre potremo sostenere l’attuale sistema del welfare e degli ammortizzatori sociali, tutti tasselli del medesimo problema.

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