Le borse tremano

Banche Usa e mercati: guardarsi dal panico

di Antonio Troise

Poco da fare: il terremoto della Silicon Valley Bank è arrivato in Europa. Ieri i listini del Vecchio Continente hanno registrato pesanti ribassi. La maglia nera, questa volta, è toccata proprio a Milano, che ha lasciato sul terreno ben il 4% del suo valore. Partiamo, però, da una premessa. Il fallimento dell'istituto di credito californiano, in Italia (ma, in generale, in Europa) è difficilmente replicabile. Le nostre banche, infatti, devono rispettare le rigide regole di Basilea 3 su liquidità, concentrazione dei rischi e patrimonio e la vigilanza delle autorità preposto a questo compito, è stringente e accurata. In Italia, ad esempio, non sarebbe stato possibile per un istituto comportarsi come ha fatto la Silicon Valley Bank.
Cioè, raccogliere 200 miliardi dai risparmiatori e investirli in titoli a lunga durata senza avere, nello stesso tempo, un'adeguata liquidità nei suoi forzieri. Senza contare, poi, che in Italia, nel caso di default di un istituto, c'è sempre il salvagente del Fondo interbancario, che garantisce i depositi di ogni risparmiatore fino a un tetto di 100 mila euro. Come a dire: calma e sangue freddo. Non è il momento di farsi prendere dal panico. O dare per scontato di trovarsi di fronte all'ennesima tempesta finanziaria come quella innescata dalla crisi dei mutui subprime oppure dal fallimento della Lehman Brothers del 2008. Il vero problema è un altro ed è strettamente collegato alla scelta prima della Fed e poi della Bce di aumentare repentinamente i tassi di interesse per contenere l'inflazione. Obiettivo legittimo, per carità. Ma che rischia di trasformarsi in un boomerang se non gestito con cautela e lungimiranza. Nel lungo decennio appena trascorso, in cui, il costo del denaro era prossimo allo zero o, addirittura, negativo, le banche centrali hanno inondato il sistema di liquidità, spingendo un po' tutti a indebitarsi. Secondo i dati dell'Fmi, la somma dei debiti di Stati, imprese non finanziarie e famiglie è oggi al 250% del Pil mondiale. Era sotto il 200% nel 2007, prima della grande crisi finanziaria e al 100% cinquant'anni fa. Ora, con l'aumento dei tassi, questa esposizione rischia di pesare fortemente sulle casse dei Paesi più indebitati (come, ad esempio, l'Italia) o, più in piccolo, sui nostri portafogli. Per evitare il rischio di un contagio, vanno sicuramente bene le misure adottate dalla Fed per tutelare i depositi ed evitare un fallimento a catena degli istituti più esposti. Ma sarebbe anche opportuno ripensare alle politiche monetarie fin qui messe in atto. Anche perché, nei prossimi mesi, potrebbe esserci un raffreddamento dei prezzi al consumo che, di fatto, farebbe rientrare l'allarme inflazione. Non vorremmo, cioè, che dopo aver tardato ad alzare i tassi per contenere il carovita, ora le Banche centrali fossero troppo timide nell'invertire la rotta, pur di difendere la propria credibilità. La posta in gioco, insomma, va ben oltre il fallimento di una banca regionale americana, sia pure importante. Sarebbe opportuno, invece fare tesoro delle lezioni della storia recente ed evitare pericolosi passi falsi.

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