Il dato certo è che non ci sarà un ritorno alla legge Fornero, con l’unica finestra per la pensioni da 67 anni insù. Per il resto, il futuro delle nostre pensioni è ancora da costruire. I sindacati hanno lasciato ieri Palazzo Chigi firmando una tregua armata e incassando un primo risultato. La trattativa sulle pensioni partirà entro dicembre. Dall’altra parte, il premier, Mario Draghi, ha disinnescato la mina dello sciopero generale. Ma ora comincia il difficile. Nell’immediato i sindacati puntano ad allargare la platea dell’«Ape sociale», quella che consente ai dipendenti impegnati in attività gravose di lasciare il lavoro a 63 anni (58-59 per le donne) e magari ritoccare «quota 102», prevista solo per il 2022 e che prevede l’assegno Inps ad almeno 62 anni di età e 38 di contributi. I sindacati vorrebbero maggiore flessibilità a partire dai 62 anni e, in ogni caso, il via libera alla pensione con 41 anni di contributi. Richieste troppo onerose, secondo il governo. Il nodo da sciogliere non è solo quello delle risorse disponibili nell’immediato ma la sostenibilità del sistema nel futuro, per garantire quel patto fra generazioni alla base del nostro welfare. Per il governo l’unica strada percorribile è quella del contributivo secco, pensioni rapportate ai versamenti effettuati. Ma anche così i conti non tornano, soprattutto in un mercato del lavoro caratterizzato da contratti precari o intermittenti. Occorre una riforma che tenga insieme tutti gli interessi in campo e che dia certezze ai pensionati di oggi e a quelli del futuro.