CRIPTOVALUTE

Cosa si può salvare dell'oro digitale

di Francesco Morosini

Le criptovalute affascinano perché avvolte in narrazioni di democrazia finanziaria diretta, senza mediazioni istituzionali. Già questo, come per tutte le narrazioni sulla «democrazia dal basso», dovrebbe destare diffidenza, specie se si tratta di fascinazioni che svuotano il portafogli. Infatti, vale anche per le cripto l’aforisma dell’economista John K. Galbraith per il quale «il bello del capitalismo è che ogni tanto vi succede qualcosa per cui il denaro viene separato dagli imbecilli». O forse solo dai troppo ingenui. Sono riflessioni d’obbligo davanti al recente crac della piattaforma di scambi di criptovalute FTX, che ha polverizzato miliardi di dollari. È avvenuto in Usa, ma merita parlarne pure da questa parte dell’Atlantico per le questioni di sicurezza economica emerse che, oltre l’ambito finanziario, possono toccare aspetti geopolitici. Lo dimostrano l’Ordine Esecutivo 13827 che l’allora presidente Trump firmò per colpire il ricorso a criptovalute per transazioni di petrolio di Paesi sotto sanzioni (al tempo Venezuela e Iran); e le preoccupazioni occidentali per una sorta di asse del cyber con trading online e criptovalute tra Corea del Nord, Iran, Russia e Cina. Tornando al disastro di FTX, esso toglie la maschera al populismo finanziario dell’«uno vale uno» in contrasto alla tradizionale intermediazione. Certo, Fintex (acronimo per finanza e tecnologia) individua una rivoluzione tecnologica con nuovi modelli di business, ma vanno evitati i miti ideologici. I problemi sono che usare le criptovalute come moneta può creare problemi di stabilità monetaria, mentre come investimento esse pongono il tema della tutela del risparmio. Ciò posto, cos'è successo a FTX nel Far West senza sceriffi delle cripto? Che i soldi veri (dollari) dei loro sottoscrittori venivano usati dal management in un tango incestuoso con un'altra attività, prosciugandone i conti. Poi, quanto il valore di una criptovaluta di FTX si è incrinato e in assenza di liquidità, il gioco è saltato. Il peggio della farsa della «democrazia finanziaria» è che l'investitore neppure controlla sul proprio portafoglio (è della piattaforma) ridotto a «parco buoi». Serve l'intervento pubblico, perché il mercato è sì un bene prezioso ma è un costrutto giuridico che necessita di regole. Vi è consapevolezza crescente, negli States come nell'Unione europea, che ha elaborato una bozza di regolamento (MiCa acronimo di Markets in Crypto-Assets) per garantire lo sviluppo della finanza digitale, attenuandone però i rischi per gli utenti. La politica dovrà affrontare la questione del ruolo che Stati, banche centrali e autorità di vigilanza qui dovranno avere. Per molti economisti difficilmente le criptovalute funzioneranno come mezzo di pagamento, data la variabilità del loro valore. Più facile, invece, il loro uso come asset speculativo cioè di investimenti attorno ai quali va cucito un buon abito giuridico per diminuire il rischio intrinseco di bolla. Forse chiamando le criptovalute «oro digitale» si inquadra meglio il loro ruolo, riducendone viceversa le ambizioni monetarie.Dove sarà battaglia e sfida grande (portatrice di problemi) tra la tuttora futuribile Central bank digital money (Cbdm) e i sistemi privati di pagamento emessi dalle banche in competizione col denaro a corso legale.Tornando a FTX, esso ci ricorda come dal tempo dei tulipani olandesi del XVII secolo il denaro investito possa svanire. Certo, nessuna regola salva dal rischio, ma aiuta contro l'irresponsabilità finanziaria. La sfida è al Legislatore.

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