Università Usa

Così avanza l’onda antisemita

di Benedetta Guerrera

Minacce di decapitazioni e stupri, intimidazioni a studenti e studentesse, attacchi che riecheggiano le pagine più cupe del Novecento. I più prestigiosi college americani sono attraversati da un’ondata di antisemitismo senza precedenti, scatenata dalla guerra tra Israele e Hamas e destinata a spaccare ancora di più una società già profondamente divisa. Per non parlare degli effetti sulle imminenti elezioni del 2024, con Joe Biden in crisi di consensi e ora attaccato dagli arabo-americani sul suo sostegno a Israele. Gli incidenti nei campus universitari, soprattutto nell’Est degli Stati Uniti, sono cominciati pochi giorni dopo il terribile attacco di Hamas e la furiosa risposta dell’esercito israeliano. Inizialmente solo dichiarazioni da parte delle organizzazioni studentesche filo-palestinesi che giustificavano il terrorismo, poi le frasi sono diventate minacce di morte e attacchi fisici contro gli studenti ebrei che ora si sentono un obiettivo. Un clima di terrore che ha avuto il suo apice all’università Cornell: in un forum online gli allievi ebrei sono stati definiti «escrementi dell'umanità», minacciati di stupro e decapitazione. «Elimineremo tutti quelli che vivono nel campus». Il 21enne Patrick Dye è stato arrestato per minacce violente e le lezioni sono state sospese fino a oggi. Ma l’istituto dello stato di New York non è un caso isolato, tanto che sia la Camera che il Senato americani hanno approvato due risoluzioni di condanna dell'antisemitismo nelle università e la Casa Bianca, pur ribadendo il diritto a manifestare in maniera pacifica la propria opinione, ha detto chiaramente che «negli Stati Uniti non c'è posto per queste forme di odio». Ad Harvard 1.200 laureati ebrei hanno chiesto di donare solo un dollaro all’anno per protesta nei confronti della «risposta lassista» dei dirigenti rispetto all’attacco di Hamas e alle attività antisionista nel campus, dove qualche giorno fa oltre 30 gruppi studenteschi hanno firmato una dichiarazione che dava a Israele la colpa delle violenze senza neanche menzionare Hamas. E ancora all’università di New York sono comparsi cartelli in cui si incitava «a ripulire il mondo dagli ebrei», mentre sulla facciata della George Washington University, nella capitale americana, è stata proiettata la frase «sostegno ai nostri martiri». Intanto l’appoggio incondizionato di Washington a Israele - nonostante le recenti pressioni da parte dell'amministrazione americana a proteggere i civili palestinesi e a concedere una tregua umanitaria per dare un po' di respiro alla popolazione di Gaza - sta costando caro a Biden. Secondo un sondaggio di questa settimana condotto dall'Arab American Institute, il sostegno al presidente tra gli arabo-americani, il cui voto è strategico per vincere gli Stati in bilico, è precipitato al 17% dall’inizio della nuova guerra in Medio Oriente. Nel 2020, stava con il commander-in-chief il 59% degli arabo-americani, una percentuale scesa al 35% già prima dello scoppio delle violenze a Gaza. Non solo. È la prima volta dal 1997 che la maggioranza degli arabo-americani non si definisce democratica: il 32% di loro si dichiara, infatti, repubblicano e il 31% indipendente. Il 40% degli intervistati ha rivelato, infine, che voterebbe per Donald Trump alle presidenziali del 2024, il 5% in più rispetto al 2020. E la deputata democratica Rashida Tlaib ha accusato il presidente di «appoggiare il genocidio dei palestinesi». «Il popolo americano non ci sta. Ce lo ricorderemo nel 2024», ha attaccato la politica di origine palestinese in un video su X (Twitter).

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