Così l'UE fa fare le riforme all'Italia

di Giorgio Perini

Non è una novità che la politica nostrana sia tarata sulle emergenze che, una volta superate, non ci insegnano niente, perché ce ne dimentichiamo e non facciamo niente per rimuoverne le cause. E invece abbiamo un gran bisogno di interventi che guardino al futuro del Paese e che lo modernizzino per prepararlo alle sfide presenti e future. E questo a maggior ragione nell’attuale rapida, e ancora così incerta, evoluzione degli scenari geopolitici, ma anche economici. Per fortuna, in larga misura, ci ha pensato l'Europa, con le riforme che ha richiesto di inserire nel Pnrr (e che l'Italia ha accettato). Di fatto, diciamo il vero, delle «condizionalità» vere e proprie che non sono state chiamate così solo per non richiamare il famigerato Mes (Meccanismo europeo di stabilità), che avrebbe fatto scattare la contrarietà preconcetta verso il cosiddetto «fondo salva Stati», che, tra l'altro, sta già riemergendo adesso che l’Italia, dopo la sentenza del tribunale di Karlsruhe, rimarrà la sola a non aver approvato le modifiche apportate a quello strumento. Ma dove ha trovato ispirazione, la Commissione europea, per individuare il percorso di riforma calibrato sul nostro Paese? Molto semplice. Da anni di interlocuzioni, spesso faticose e inconcludenti, con le nostre autorità, nelle procedure di infrazione, nei dossier di aiuti di Stato, nella mancata apertura alle norme di concorrenza, nella spesa dei fondi strutturali, e altro ancora. 

In quanti casi, per esempio, si è scontrata con la nostra incapacità di concludere, in tempi ragionevoli e con esito certo, le procedure di gara, soprattutto negli appalti di lavori e nelle concessioni autostradali, perché qualsiasi esito sarebbe stato impugnato dai perdenti in cause civili senza fine? Altro esempio è quello della digitalizzazione: quanti progetti diversi abbiamo presentato, senza che nessuno producesse i risultati attesi? E cosa dire dell'invocazione di aiuti, anche dal bilancio dell’Ue, nel caso di calamità naturali che però, per essere riconosciute tali a livello europeo, devono essere imprevedibili, mentre da ultimo il caso di Ischia dimostra che da noi le catastrofi si ripetono negli stessi luoghi e più o meno con le stesse modalità, per assenza di prevenzione (oltre che tolleranza degli abusi edilizi? E poi le innumerevoli infrazioni in campo ambientale, quasi irrisolvibili a causa dei tempi delle relative procedure e della farraginosità delle normative nazionali applicabili. Come voltare pagina e superare, una volta per tutte, questi colli di bottiglia, anziché rincorrere i loro effetti perversi? Occorre rendere più agile la Pubblica amministrazione, accorciare i tempi della giustizia civile e di quella tributaria, semplificare i procedimenti amministrativi (anche per contrastare il fenomeno della corruzione) e la legislazione (in particolare per quanto riguarda i contratti pubblici), introdurre meccanismi preferenziali per il recepimento delle norme europee non direttamente applicabili (per esempio in materia ambientale), accelerare la digitalizzazione, promuovere la concorrenza: esattamente le riforme inserite nel Pnrr. Quello che dobbiamo chiederci è perché non l’abbiamo già intrapreso noi questo cammino di riforme, anziché aspettare che ce lo chiedesse l'Europa.

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