L’EDITORIALE

Da Saigon a Kabul è l'America che si ritira

di Alberto Pasolini Zanelli

Fino a qualche settimana fa quei nomi potevano far parte di un elenco geografico e amministrativo: indicavano le varie «capitali regionali» dell’Afghanistan. Oppure, proprio negli ultimissimi tempi, la geografia del ritiro delle truppe americane da quel Paese chiuso dalle montagne. Adesso è cronaca più che quotidiana, da seguire con l’orologio oltre che con il calendario: è l’elenco dei centri che i talebani stanno conquistando, per completare la loro vittoria in una guerra durata vent’anni. Sugli schermi delle tv americane è una carta geografica che chiude un’epoca: sono i punti dell’addio a una guerra che si è trasformata in cocente sconfitta e che richiama un altro tragico conflitto e un’altra amara ritirata, quella dal Vietnam. L’Afghanistan, però, non è la stessa cosa. Da questo martoriato Paese i «ragazzi» Usa se ne sono già andati tutti, in buon ordine e senza fretta, non incalzati dai carri armati nordvietnamiti, ma quasi in silenzio, non mischiati con i rappresentanti di un governo che esiste ancora, ma solo formalmente, e che è rimasto ad affrontare la resa dei conti con i nemici di casa. I talebani avanzano per incassare il premio della vittoria. Conducono una specie di «campagna elettorale» punteggiata dalle esplosioni, e conquistano «seggi» ogni poche ore. Quella dell’Afghanistan è ridiventata una guerra civile, non condotta dai contrastanti interessi di due Superpotenze, ma dal fanatismo e dalla rabbia di connazionali afgani. Quando venne fuori quel nome, talebani, nessuno nel resto del mondo era in grado di tradurlo, finché non spuntò una perifrasi sorprendente: studenti di teologia. Un termine senza contatti con le lingue della storia, neppure quelli del fanatismo islamico. Erano una «cosa di casa», il loro addestramento veniva addebitato a «teologi» musulmani. Non erano stati, fino a quel momento, protagonisti della storia di un Paese antico, piena di guerre ma meno di vittorie che di sconfitte. Nel convulso teatro islamico non erano mai stati protagonisti. Lo era stato, invece, il Paese di cui adesso si stanno impadronendo totalmente, ma che sempre era stato ostico alle ambizioni di controllo degli stranieri. Gli ultimi, prima degli americani, a sgombrare Kabul e dintorni sono stati i russi, quando ancora si chiamavano sovietici. L'ordine venne da Gorbaciov e il rientro dei combattenti fu annunciato il giorno in cui Ronald Reagan arrivava a Mosca per avviare la fine della Guerra Fredda. Prima ancora era toccato agli inglesi verso la fine dell'Ottocento. Padroni dell'impero dell'India avevano ritenuto necessario completare il controllo dell'area, avviando fra quelle montagne un corpo di spedizioni di un paio di migliaia di uomini. Entrarono per assumerne il controllo, ne uscirono di corsa pochi superstiti. Le superpotenze in quei giorni erano tre. Gli americani ne escono, a paragone, quasi indenni. In termini umani, non strategici o politici.

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