EDITORIALE

Di dilazione in dilazione l’UE ci mette sotto tutela

di Giorgio Perini

Possibile che in Italia dobbiamo trascinare per anni, se non decenni, i dossier che coinvolgono Bruxelles? Ilva, Alitalia, concessioni balneari non hanno ancora la parola fine. Quella della dilazione continua è una tattica collaudata, in modo da dover decidere nell’emergenza, cosa che fa sempre comodo a qualcuno. E il bello è che non sempre ce ne accorgiamo. Per esempio, senza la protesta delle tende piantate dagli studenti davanti alle università per il caro alloggi e il servizio televisivo di Report sugli impianti sportivi «minori», non avremmo saputo che finora è stato fatto ben poco, per non dire quasi niente, su entrambi i fronti benché ne sia stato previsto il finanziamento con risorse del Piano nazionale di ripresa e resilienza, cioè dell’Unione europea. Adesso riemergono all'improvviso 660 milioni di euro disponibili e si preannunciano bandi per l’individuazione di edifici pubblici dismessi da trasformare in residenze universitarie: cosa aspettavamo finora se avevamo a disposizione quella cifra? È così che pensiamo di completare (non solo avviare) i progetti del Pnrr entro il 2026? Sugli impianti sportivi, a parte i due stadi di Firenze e Venezia, per i quali Bruxelles ha già imposto lo stop, abbiamo appreso che, a fronte di 300 milioni disponibili sul Pnrr, saranno accolte solo 444 domande su tremila presentate soprattutto dalle scuole pubbliche, mentre sono stati finanziati progetti per impianti a gestione privata non accessibili al largo pubblico.
Ma perché è così grave, al di là della constatazione del malcostume imperante nel nostro Paese? Perché - non mi stancherò mai di dirlo - i soldi del Pnrr vengono da un programma che si chiama «Next Generation EU» proprio per non farci mai dimenticare che beneficiari ultimi di tutti i progetti devono essere i più giovani e le prossime generazioni di europei (nel nostro caso, di italiani), ovviamente in un'ottica di servizio universale e inclusione sociale. Quindi non c'è dubbio che l'obiettivo di incrementare la disponibilità di alloggi per gli studenti fuori sede e realizzare piccoli impianti sportivi dilettantistici, o ancor meglio palestre nelle scuole, era perfettamente in linea con gli obiettivi europei. Peccato che adesso scopriamo (e con noi la task force della Commissione europea incaricata di seguire l'attuazione dei Pnrr negli Stati membri) che non si è fatto ancora niente o, peggio, che i soldi sono stati in buona misura dirottati verso investimenti destinati ad arricchire chi li realizza e gestisce, e non ad andare incontro ai bisogni dei loro veri destinatari. Il Recovery Fund è l'ultima apertura di credito - anche in termini politici - dell'Ue (e degli altri Stati membri) nei nostri confronti, ma sembra che non l'abbiamo ancora capito. Ritardi e inadempienze non fanno altro che avvantaggiare gli «amici degli amici», se non la criminalità organizzata, e comunque incrementare l'evasione fiscale (nel caso degli affitti d'oro in nero chiesti agli studenti): l'Europa ce ne chiederà conto, sempre che non arrivi prima l'Olaf (l'acronimo che indica l'ufficio anti frode europeo). Anziché lanciare allarmi su fantomatici pericoli di commissariamento del Mes (il fondo salva-Stati), sul quale stiamo irragionevolmente tenendo in ostaggio tutta l'Europa, rendiamoci conto che, di fatto, siamo già oggetto di un «micro-commissariamento» da parte dell'Ue, diciamo sotto forma di «tutela rafforzata». E per fortuna, verrebbe da dire.

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